Intervista a Simona C., madre di famiglia, residente nel ponente ligure
di Chiara Zuanazzi
Sono passati quasi tre mesi dall’avvenimento più discusso e tragico avvenuto sul territorio ligure.
La vita di tutti è stata in qualche modo stravolta, sia per chi abitava nelle case popolari al di sotto del ponte, nella zona di Sampierdarena, sia per chi, tutti i giorni, per motivi lavorativi o scolastici giungeva da lontano.
Ci racconta la sua esperienza Simona C., madre di famiglia cinquantenne, la cui vita è stata parzialmente condizionata dal disastro.
Quando è stata l’ultima volta che ha attraversato il ponte Morandi? Era in compagnia di qualcuno? Quale era lo scopo del suo passaggio sopra il viadotto?
L’ultima volta che ho attraversato il tratto autostradale interessato dal crollo ero in camper, insieme alla mia famiglia ed amici; era il 9 agosto, ci stavamo dirigendo verso il porto per poterci così imbarcare, iniziando così le vacanze estive che sarebbero finite la settimana dopo il terribile avvenimento.
Dove era e quale è stata la sua reazione alla notizia? Lo ha scoperto grazie ai mass media o mediante telefonate di parenti e conoscenti?
Avevamo appena terminato di visitare la città siciliana di Caltagirone, insieme ad altre tre famiglie, tutte residenti nella zona del ponente ligure, quando, uno dei ragazzi, figlio dei nostri compagni di viaggio, dopo aver ricevuto un messaggio ci diede la notizia; all’inizio nessuno pensava potesse essere accaduto davvero, ma dopo svariate telefonate a casa e dopo aver ascoltato i giornali radio, ci rendemmo conto della gravità della situazione. Fortunatamente nessuno di nostra conoscenza era stato coinvolto nell’incidente, anche se il timore svanì solo dopo il riconoscimento di tutte le vittime e i feriti.
E’ cambiata molto o relativamente poco la vita sua e della sua famiglia?
n un certo senso parecchio, sia per i tempi di percorrenza, a causa della distanza tra la nostra abitazione e la città di Genova, che per un fatto economico. Mio marito infatti, essendo titolare di una ditta con parecchi acquirenti nella zona di Genova centro, Albaro e Nervi, per poter arrivare in tempo ai vari appuntamenti stabiliti, deve partire da casa due ore prima di quanto non facesse in precedenza. In più, mentre prima ci si riusciva a muovere agilmente tramite automobili, adesso devo utilizzare mezzi pubblici affollati di studenti e lavoratori con i miei stessi problemi.
Tutti questi disagi ovviamente non giovano all’economia della città, poiché adesso, anche solo gli acquisti sono indirizzati verso la zona del basso Piemonte per questioni logistiche.
Cosa ha provato, da un punto di vista emotivo, la prima volta che ha osservato dal vivo i monconi del ponte sul torrente Polcevera? La stessa sensazione la prova tutt’oggi?
Ovviamente la prima volta è stato un colpo al cuore, un misto di tristezza e, successivamente rabbia, al pensiero che tutti i miei conoscenti e familiari potessero trovarsi lì nel momento del collasso. Oggi l’emozione è sempre forte, ed ogni volta è un po’ come la prima, con la differenza che in questo momento si ha la possibilità di ripartire. Probabilmente, almeno spero, quando la ferita sarà rimarginata, Genova potrà ripartire. Come tutti spero in un futuro migliore per la città della lanterna, poiché 43 vittime e le 258 famiglie sfollate sono state un prezzo altissimo da pagare, che nemmeno la costruzione di mille altri viadotti potrà farci dimenticare.
Fonte immagine: www.panorama.it