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“Mamma, ho tredici anni, non dirmi quello che devo fare!”

Secondo uno studio della Casa del Giovane di Pavia e della Fondazione Exodus che ha curato un’indagine sugli stili di vita giovanili, emerge che il 31,8% dei ragazzi under 20 beve per piacere e il 23,27% lo fa per affrontare momenti difficili.

C’è chi li definisce bambini, altri li trattano come adulti: gli adolescenti sono in una fase di transizione difficile da classificare. Loro stessi si comportano in modo altalenante, già grandi per certe cose, troppo piccoli per altre. In un periodo in cui tutto è più a portata di mano, sia a livello economico che materiale, molto spesso gli viene data fin troppa libertà e c’è pericolo che non si comportino in modo responsabile.

Un esempio ci viene raccontato da una ragazza sedicenne di una cittadina toscana. Spiega che nel suo paese, è normale che i ragazzi (anche di 13 o 14 anni) stiano fuori casa fino a tarda notte a bere alcol nei locali, per poi ritrovarsi in piazza spesso vittime di malori anche gravi. Nonostante la vendita di alcol sia vietata ai minori di 18 anni, paradossalmente sono proprio i camerieri e i proprietari dei locali a spingere i ragazzi di tutte le età a consumarlo al fine di aumentare i ricavi.

Da questo fenomeno si innescano una serie di conseguenze negative in diversi campi: risse, problemi in famiglia o fisici, peggioramento dell’andamento scolastico. Cose che spesso vengono anche considerate normali e quindi sottovalutate.

Situazioni del genere sono ormai la norma in molti paesi sviluppati.

Al centro del problema c’è il prodotto di una generazione forse troppo fragile, non abbastanza forte da imporre ai figli le proprie regole pur di non inimicarseli.

I genitori sono vittime di un repentino cambiamento della società a livello tecnologico, che non li rende più i depositari del sapere. I giovani ormai possono informarsi attraverso internet, hanno molta più libertà e non vedono più il mondo attraverso gli occhi di mamma e papà. Questi ultimi non si sentono più in diritto di limitare i loro figli e farsi rispettare. Ciò porta a situazioni incontrollate e paradossali in cui quasi sono i ragazzi a prendere le decisioni in famiglia.

Insomma, guai a chiamarli “bambini”.

di Flavia Pinna, III BLF