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UNDICESIMO INCONTRO Più uguali che diversi – I primi passi dell’arte 

Che cos’è l’arte? In che forme si può manifestare e da quanto tempo è una modalità espressiva dell’uomo? Sono queste le principali domande che ci siamo posti nel corso del laboratorio “I primi passi dell’arte” che si è svolto il 15 Aprile 2019 al Museo della preistoria
“Luigi Donini” di San Lazzaro.

La maggior parte delle persone è consapevole del fatto che l’arte, nel suo senso più generale, non è un’invenzione recente, ma solo in pochi sono a conoscenza dei veri “precursori” dell’arte, che risalgono all’età del paleolitico, più precisamente all’uomo di Neanderthal. Quando l’esperta, Carlotta Trevisanello, ci ha fornito questa informazione, sono rimasto abbastanza stupito, in quanto pensavo che una qualunque forma artistica avrebbe potuto essere stata inventata solamente dai nostri più diretti precursori, ovvero i sapiens.

Prima di analizzare gli aspetti storici legati alle prime rappresentazioni artistiche, ci siamo soffermati sul significato dell’arte. Riflettendo, siamo riusciti a classificare diversi tipi di arti: la musica, il disegno, la scultura e la danza, tutte già esistenti nell’età del paleolitico. L’aspetto più importante che collega queste diverse forme artistiche è che tutte sono l’espressione della  capacità di astrazione dell’uomo che consente di formulare dei linguaggi simbolici, quali appunto quelli dell’arte.

In seguito ci siamo soffermati sulle motivazioni per le quali i nostri progenitori si sono espressi attraverso l’arte: comunicare, celebrare, rappresentare quello che vedevano, istruire, propiziare il buon esito della caccia o la fertilità.

Le motivazioni, quindi, erano tante e le tipologie molteplici, ma dove venivano rappresentate? La risposta avanzata da noi studenti è stata quella delle grotte, in quanto luoghi protetti dall’incursione degli animali predatori. In queste grotte gli uomini entravano in gruppi. Ovviamente è proprio a causa della scelta di questi luoghi se le rappresentazioni si sono potute conservare e sono visibili tutt’oggi.

Per quanto riguarda la pittura, l’esperta ci ha detto che siamo riusciti a risalire ai tipi di colori utilizzati e alla loro composizione: l’ocra gialla (limonite) per il giallo, l’ocra rossa (ematite) per il rosso e il carbone di legno per il nero. Non mi sono sorpreso, in quanto, anche nelle rappresentazioni cinematografiche del passato, le immagini primitive sono colorate nello stesso modo.

Ho potuto trovare un’informazione nuova, invece, per quanto riguarda le sostanze utilizzate perché il colore non si staccasse dalle pareti, che potevano essere sangue, midollo, miele, uovo o grasso animale, la cui unione creava un legante molto potente.

A questo punto è rimasta una domanda, ovvero quella riguardante gli strumenti impiegati per dipingere. Ammetto di non averci mai pensato, perché mi bastava vedere i dipinti sulla roccia, senza preoccuparmi di come fossero stati dipinti. L’esperta ci ha detto che attraverso l’analisi dei segni e dei tratti si sono potuti “ricostruire” gli utensili, che sembrano essere: pennelli in fibra vegetale (simili a quelli odierni), dita delle mani, cannucce per tecnica a spruzzo realizzate con ossi o legnetti forati al centro e un tampone ricoperto di una pelliccia. Mi sono meravigliato di come questi strumenti fossero così simili a quelli usati oggi, nonostante stessimo parlando dell’arte paleolitica.

Nella seconda parte dell’attività, abbiamo svolto un laboratorio divisi in due gruppi, nel quale ci è stato chiesto di “provare con mano” cosa significasse dipingere nell’età del paleolitico. Ci sono stati forniti dei cartelloni di un colore che rimanda a quello delle pareti delle grotte, un carboncino con il quale disegnare le figure e dei colori miscelati con la colla, simili a quelli utilizzati a quell’epoca assieme a degli esempi di raffigurazioni dalle quali prendere spunto. La maggior parte di queste riguardavano animali. Non era conosciuta la prospettiva (alcune immagini si sovrapponevano), per tanto è stato difficile per noi disegnare, a causa della nostra abitudine di rispettarla e anche a causa dei disagi provocati dagli strumenti così simili a quelli di oggi, ma con delle differenze che ne rendevano complicato l’utilizzo.  Io personalmente ho preferito usare le dita, in quanto sentivo che mi avrebbero conferito una maggiore precisione. Ognuno di noi ha raffigurato un animale diverso in base a cosa lo aveva colpito di più. Io ho rappresentato un cavallo e un pinguino, non perché avessero per me un valore simbolico, ma perché ho molto apprezzato il modo in cui erano stati dipinti sulla roccia. Alla fine sono stato soddisfatto del risultato ottenuto e ho provato una sensazione di piacevole leggerezza. Ad opera ultimata ogni membro del gruppo ha firmato il cartellone stampando il palmo della propria mano, come ci è stato detto fare dagli uomini di Neanderthal. Il risultato finale è stato positivo per tutti noi.

Dopo il disegno abbiamo provato a incidere una formella di argilla utilizzando un’amigdala ed è stata un’attività decisamente più breve dell’altra, ma ugualmente utile. Ci sono stati forniti degli esempi dai quali prendere spunto, raffiguranti un uomo molto stilizzato e una casa. Molti di noi hanno provato a rappresentare l’uomo, io compreso, ma abbiamo sottovalutato la difficoltà di incidere un cerchio nell’argilla per fare la testa e, a causa di questo, il risultato, almeno per me, non è stato soddisfacente al massimo, ma mentre incidevo ho provato un’emozione diversa rispetto al momento della pittura. Ho provato un senso di liberazione, che, a parer mio, è ineguagliabile e che, nonostante l’esito, mi ha fatto preferire questa attività rispetto alla prima.

 

Testo di Giacomo Zanoni

Foto di Samuele Tocco ed Eleonora Lo Conte

 

Samuele Tocco:

 

Foto di Eleonora Lo Conte