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I padri della letteratura italiana a confronto. Intervista immaginaria ad Ariosto e Calvino

Mettere a confronto due capisaldi della letteratura italiana è un’impresa ardua soprattutto considerando il distacco temporale che vi è tra i due autori in questione: Italo Calvino e Ludovico Ariosto. Oggi, però, nonostante abbiano vissuto in epoche diverse cercheremo di porre, mediante un’intervista, un paragone fra i due e soprattutto comprendere come il primo sia stato influenzato positivamente dal secondo.

Moderatore: Calvino, come mai si è ispirato ad Ariosto?

Calvino: Ho avuto più volte modo di confessare la mia ammirazione per Ariosto: per entrambi, infatti, «la creatività non è la momentanea efflorescenza dell’indeterminato, dell’ancora informe, del casuale, ma l’infinita, inesauribile possibilità di interpretare e reinterpretare, sotto angoli di visuale sempre nuovi, il già conosciuto, il già definito, il patrimonio rigorosamente (ma non rigidamente) strutturato del nostro pensiero». Inoltre il riferimento letterario che mi venne spontaneo fu l’Orlando furioso. Tra tutti i poeti della nostra tradizione, quello che sento più vicino e allo stesso tempo più oscuramente affascinante è Ludovico Ariosto, e non mi stanco di rileggerlo. Questo poeta così assolutamente limpido e ilare e senza problemi, eppure in fondo così misterioso, così abile nel celare se stesso; un incredulo italiano del Cinquecento che trae dalla cultura rinascimentale un senso della realtà senza illusioni, e mentre Machiavelli fonda su questa stessa nozione disincantata dell’umanità una dura idea di scienza politica, egli si ostina a disegnare una fiaba… Senza volerlo, mi accadde fin dagli inizi, mentre mi ponevo come maestri i romanzieri della appassionata e razionale partecipazione attiva alla Storia (…), di trovarmi verso di loro nell’atteggiamento in cui Ariosto si trovava verso i poemi cavallereschi: Ariosto che può vedere tutto soltanto attraverso l’ironia e la deformazione fantastica ma che pure mai rende meschine le virtù fondamentali che la cavalleria esprimeva, mai abbassa la nozione di uomo che anima quelle vicende, anche se a lui ormai pare non resti altro che tramutarle in un gioco colorato e danzante. Ariosto così lontano dalla tragica profondità che un secolo dopo avrà Cervantes, ma con tanta tristezza pur nel suo continuo esercizio di levità ed eleganza; Ariosto così abile a costruire ottave su ottave con il puntuale contrappunto ironico degli ultimi due versi rimati, tanto abile da dare talora il senso d’una ostinazione ossessiva in un lavoro folle; Ariosto così pieno di amore per la vita, così realista, così umano…E’ evasione il mio amore per l’Ariosto? No, egli ci insegna come l’intelligenza viva anche, e soprattutto, di fantasia, d’ironia, d’accuratezza formale, come nessuna di queste doti sia fine a se stessa ma come esse possano entrare a far parte d’una concezione del mondo, possano servire a meglio valutare virtù e vizi umani. Tutte lezioni attuali, necessarie oggi, nell’epoca dei cervelli elettronici e dei voli spaziali. E’ un’energia volta verso l’avvenire, ne sono sicuro, non verso il passato, quella che muove Orlando, Angelica, Ruggiero, Bradamante, Astolfo…

Moderatore: in quale delle sue opere vi è un evidente collegamento con l’Orlando furioso di Ariosto?

Calvino: E evidente che la corrispondenza più significativa la troviamo con il libro  “Il cavaliere inesistente”. La materia trattata è la stessa: riferimenti storici e situazioni immaginarie si sovrappongono nei due libri, che sono entrambi ambientati nel periodo carolingio. I nomi dei personaggi da me utilizzati sono inoltre di chiara impronta ariostesca, ma le analogie vanno più a fondo. Certo non sarebbe giusto dire che “Il cavaliere inesistente” sia un’imitazione del “Furioso”, ma ho deciso di rendere degli omaggi ad Ariosto che, infatti, sono frequenti e si sviluppano su vari piani.  Principalmente lo spazio: appare estremamente dilatato e deformato, a tal punto da far sembrare l’attraversamento del giovane Milton di una collina, la scalata di una montagna oppure tanto che Agilulfo viaggia senza problemi per mezzo mondo. Il tutto sempre per mezzo di percorsi zigzagati che il più delle volte sono ambientati nel bosco, simbolo della perdizione fin da Dante. Ultima analogia, ma non meno importante, è la presenza costante in tutte e tre le opere, della guerra. La guerra non è mai però vissuta direttamente dai protagonisti, ma funge da sfondo sul quale si sviluppano le vicende.

 Moderatore: Mi  potreste delineare  il concetto di luna all’interno delle vostre  opere?

Ariosto: Ho introdotto il concetto della luna all’interno dell’Orlando Furioso a scopo didascalico. da un lato per demistificare il comportamento umano, per mostrare la vanità delle illusioni, dei piaceri, delle ricchezze e dall’altro per mostrare come non vi sia un Oltremondo, ma solo la dimensione mondana della vita.  Infatti l’organizzazione dello spazio all’interno dell’opera è del tutto orizzontale esaltando puramente la dimensione terrena. Potrebbe sembrare un’eccezione il viaggio di Astolfo sulla luna, ma solo apparentemente, in quanto la luna è il complemento della terra, il suo rovescio speculare. Lì sulla Luna,  che rappresenta il luogo dove finisce tutto quello che  l’uomo perde sulla Terra, si trova la maggior parte del tempo che l’uomo spreca dietro a beni futili, si trovano anche la fama, le ricchezze, i sospiri degli amanti, il tempo sprecato. Sulla Luna si conserva dentro ampolle il senno di coloro che l’hanno perduto parzialmente o integralmente.

Calvino: Ho sempre avuto un grande interesse per le scienze, ed in particolare per la materia lunare. Ho preso essa come spunto per la composizione di molti racconti nei quali i personaggi sono spesso intenti all’ osservazione della Luna e del cosmo. Inoltre Ho più volte incitato la prosa galielana, di cui sono molto affascinato, dando al satellite un senso di leggerezza, il punto su cui fissare lo sguardo per affrancarsi dalla pesantezza della vita terrena. Ci tengo a ricordare che questo concetto è stato ripreso più volte nelle ‘citta invisibili’ e anche nel primo capitolo delle ‘Lezioni Americane’.

Moderatore: Alcune delle caratteristiche più importanti delle vostre opere sono l’ironia e l’invenzione fantastica, a che scopo sono state aggiunte?

Ariosto: L’Ironia è uno strumento, atto a raggiungere un equilibrio tra verità e menzogna, infatti, non  voglio che il lettore, o ascoltatore, perda di vista la realtà in quanto, dietro alle vicende del mio poema, ci sono precisi riferimenti alla crisi italiana del 1532 ad esempio  rapporto tra virtù e fortuna, rapporto tra intellettuali e potenti e pessimismo nell’accorgersi che l’uomo insegue solo illusioni. L’ironia, insomma, serve per non far rispecchiare troppo il lettore nel poema. Richiama i lettori a stare con i piedi per terra, demitizzando il suo poema ma, anche i suoi personaggi e, infatti, mostra un Orlando completamente diverso da quello della Chanson de Geste, un Orlando che insegue perennemente Angelica e che, deluso per amore, uccide gente e fa a pezzi alberi. All’interno dell’Orlando furioso l’ironia si costituisce tramite lo straniamento e l’abbassamento, due procedimenti   narrativi che consistono, il rimo nel cambiare continuamente il unto di vista della vicenda cosi che il narratore abbia un occhio critico nei confronti di quest’ ultima e non si immedesimi totalmente emotivamente in essa, il secondo invece abbassa la dignità eroica ed epica dei personaggi in modo che le vicende narrate vengano viste, non come se fossero degli avvenimenti lontani per i lettori ma come se fossero un punto di avvio per la riflessione della  realtà.

Calvino:L’ironia ariostesca mi ha sempre attratto poiché si tratta di una concezione della letteratura non ingenua o sprovveduta bensì mediata e riflessa; un’ironia che non scade mai nella parodia meccanica e nella comicità volgare, divenendo anzi lo strumento da cui scaturisce, una nuova e del tutto originale invenzione fantastica. E questa la strada in cui ho deciso di intraprendere all’interno delle mie opere, dando vita a pagine di raffinata e rarefatta astrazione e operando allo stesso tempo su strutture narrative di cui altero e reivento le funzioni.  Ad esempio in “se una notte d’inverno  un viaggiatore” pongo al centro del romanzo un lettore e una lettrice i quali vanno alla ricerca di un libro, che si frantuma, per una sorta di magico gioco degli specchi, in altri dieci libri, casualmente trovati e pocodopo , a lettura appena iniziata, perdutipersempre.

Moderatore: Calvino, in che modo hai strutturato e come ti  èvenuto in mente il cosiddetto “gioco combinatorio delle carte parlanti”  che esponi nel libro “il castello dei destini incrociati”?

Calvino: Tramite la fantasia ho immaginato che, in un castello medievale, si ritrovino attorno a una tavola cavalieri e dame che non si conoscono e che desiderino narrare le loro avventure, In una situazione di totale silenzio, poiché resi muti da un incantesimo, combinano le figure dei tarocchi uno dopo l’altro e ciascuno a modo suo. Essi comunicano solo attraverso i gesti e le immagini: ogni carta,come i suoni della lingua, è un “segno” che acquista significato combinandosi con altre. Ogni personaggio, in base alla propria specifica esigenza narrativa, inserisce le carte nel gioco degli altri e i destini si incrociano, le varie storie si intersecano e cominciano da ogni lato; la stessa carta ha un senso nella storia che sale dal basso e un altro in quella che viene dall’alto o da destra o da sinistra. L’arguto gioco combinatorio dei tarocchi rappresenta il continuo crearsi o disfarsi delle vicende umane e ripropone l’immagine ariostesca della selva (da cui prende avvio la narrazione del Furioso), metafora degli infiniti sentieri della vita che si aggrovigliano come in un labirinto.

Noemi Trovato, Giovanni Passanisi, Vito Guglielmino, III G