Quella solita finestra dal vetro scalfito – Racconto

E pensare che passavo ogni secondo, ogni minuto, ogni ora e ogni santissimo giorno dell’anno a fissare quella maledetta finestra dal vetro scalfito. Non mi ricordo di aver mai chiuso gli occhi quell’anno, non c’era un lasso di tempo superiore a qualche secondo che passavo a socchiudere le mie livide palpebre e nel quale pensavo a come sarebbe stato il tempo meteorologico del giorno seguente e di quello che seguiva ancora, e così via. Infatti ricordo di aver pensato seriamente relativamente poco, anzi forse mai, anche se sì, effettivamente è impensabile non pensare, ma come si può pensare passando la propria intera esistenza davanti ad una misera finestra dal vetro scalfito?
Forse nella mia testa non c’era più niente, non c’era nessun pensiero da scacciare, nessuna emozione da decifrare e ancora niente da vedere, sentire, toccare, nessuna risposta a nessuno stimolo di alcun genere, perché di stimoli non ce n’erano, ecco. Un giorno dalla finestra dal vetro scalfito risplendeva lucente il sole nelle mattine di primavera e così via per tutti i caldi mesi estivi. Un altro giorno invece dal cielo scendevano continue gocce di pioggia, e infinite gocce di pioggia penetravano dal vetro scalfito della finestra, dove col tempo si era formato un vero e proprio buco. Forse era proprio in quei giorni grigi, quando passavo il tempo ad osservare quei piccoli frammenti d’acqua scendere imperterriti dal cielo, ed entrare parallelamente dal buco della mia finestra dal vetro scalfito, che la mia mente viaggiava ed esplorava, al di fuori di quella finestra, verso luoghi che i miei stessi occhi non avevano ancora mai visto. So di aver detto precedentemente di non pensare relativamente mai, ma forse no, non fu proprio così, o almeno non era così in quei monotoni e insopportabili giorni di pioggia. In quei giorni l’unica via possibile per rifuggire la noia era pensare, pensare a tutto, pensare all’impensabile, pensare all’impossibile, bastava pensare. Quella pioggia, che ormai era alla base di quei giorni grigi, era diventata la mia unica via d’ispirazione per pensare. Nella mia testa girovagavano milioni di idee come un vortice turbinoso senza sosta. Posavo il mio naso su quel vetro gelido e ci soffiavo sopra, rendendolo opaco e un po’ meno freddo, o almeno così pensavo. Immaginavo un mondo nuovo, libero da ogni noia, colmo di distrazioni, di cose da fare, di luoghi da visitare,avventure da intraprendere.
Con la mente e con l’immaginazione attraversavo quella solita finestra dal vetro scalfito, viaggiavo lontano, mi teletrasportavo in un mondo a colori, dove quella pioggia e quella sensazione grigia di monotonia era pressoché assente. Questo mondo però mi sembrava sconosciuto, non era il mondo che conoscevo e dal quale avevo deciso di distaccarmi completamente, era qualcosa di mai visto. Il mondo che conoscevo io, prima di rinchiudermi dietro quella solita finestra dal vetro scalfito, mi aveva portato via tutto ciò che contava davvero, la mia famiglia, i miei amici, non mi era rimasto nessuno e per questo vivevo in uno stato di profonda noia, mista a malinconia. Ora vi starete chiedendo in quale strano e parallelo mondo mi trovassi… Beh, in realtà mi trovavo in un posto un po’ insolito e per questo stentavo a credere di trovarmi veramente lì. Ero sulle nuvole, letteralmente, non so come ma è così: ero sopra quei giganteschi cumuli d’atmosfera bianchi che da bambina, vedendoli dall’aereo, chiamavo zucchero filato. Passare mesi di continua monotonia davanti ad una finestra nelle giornate di pioggia e poi trovarsi nel mondo delle nuvole era per me qualcosa di surreale, di quasi magico, aggiungerei. Mi ero sempre chiesta dove finissero le persone che se ne andavano per sempre, sì, insomma, dov’è che andavano veramente? Nella mia testa finivano in una sorta di paradiso che forse si trovava sulle nuvole, e io ero lì, quindi in un certo senso ero… morta? Non lo so, non credo, mi sentivo viva e piena di stimoli quindi no, non ero morta. Tutte le persone che durante la mia vita se n’erano andate lasciandomi sola davanti a quella insulsa finestra molto probabilmente erano lì, dove mi trovavo io, dovevo solo cercarle. Decisi di viaggiare a vuoto in quel mondo fatto di nuvole, vagando di nuvola in nuvola, facendo attenzione a non cadere di sotto, altrimenti sarei tornata a fissare quella solita finestra dal vetro scalfito.
All’improvviso mi ritrovai su una nuvola perfettamente candida, più bianca delle altre, e su questa nuvola era proiettata un’immagine, non la riconobbi subito, ma guardandola attentamente e dalla giusta prospettiva mi resi conto che era mia mamma, la prima che partì per il regno delle nuvole. Solo in quel momento mi tornò in mente quanto fosse bella e fine, e quanto mi avesse insegnato in quegli anni in cui mi era stata accanto. Stavo per mettermi a piangere quando all’improvviso, voltandomi, vidi comparire mia mamma, non sembrava lei eppure era veramente lei, in carne ed ossa. Non saprei descrivere l’emozione che ho provato in quel momento: dopo tanti anni di assenza finalmente mia madre era di nuovo lì con me, non ero più sola. Dopo averla abbracciata a lungo e averle ripetuto più volte quanto fossi felice di vederla, le raccontai di come avessi passato questi anni in solitudine, davanti alla mia finestra dal vetro scalfito, ad immaginare quel momento che al tempo credevo irrealizzabile. Lei mi raccontò invece di come la sua vita lì in paradiso fosse proceduta normalmente, in fondo loro erano tutti lì, insieme (lei, mio babbo e mio fratello), mancavo solo io. Mi tornò in mente quanto avevo sofferto qualche anno prima a perdere tutti e tre in periodi più o meno attigui tra loro. Dopo aver perso mio fratello, l’unico che al tempo mi era rimasto, sentivo che non avevo più nulla di cui occuparmi nella vita e decisi di abbandonare ogni mia attitudine, ogni mio interesse e tutte le amicizie perché non trovavo più un senso a questa esistenza. Questo periodo di isolamento è durato un annetto ed ora, tutto quello che mi dava l’input per sentirmi viva e per vivere era di nuovo lì con me ed era come se tutto quel periodo grigio della mia vita fosse svanito nel nulla. Con mia mamma andai alla ricerca di mio babbo e di mio fratello, e li trovammo lì, in quella nuvola quasi dorata da quanto splendeva alla luce del sole, mentre giocavano a pallone, come facevano sempre. Dentro di me avevo sempre saputo che mio fratello non avrebbe mai smesso di calciare quel pallone che tanto gli stava a cuore. Scoppiai in un pianto euforico da quanto ero radiosa in quel momento. Ci abbracciamo, tutti e quattro, come facevamo sempre, ma stavolta era diverso, era un abbraccio che desideravo da tanto tempo. Dentro di me sapevo che quella che stavo vivendo non poteva essere altro che pura magia, una magia che il destino mi aveva riservato ma che prima o poi sarebbe terminata perché era troppo poco reale per durare a lungo. I miei genitori mi dissero quanto gli fossi mancata e quanto mi avessero “sorvegliata” da lassù in questi ultimi due anni. Sapevano che un giorno mi avrebbero rivista e che saremmo tornati tutti insieme, la nostra famiglia. Quando erano ancora in vita viaggiavamo molto, nonostante non guadagnassero poi così tanto. Ci contendevamo un piccolo viaggetto all’anno, da soli, noi quattro, perché viaggiare in gruppi numerosi non ci era mai piaciuto poi così tanto. Di solito il mentore del posto da visitare era il babbo, e poi mia madre, organizzata come sempre, programmava tutto. Da quando loro non c’erano più avevo praticamente smesso di viaggiare e un po’ mi mancava visitare posti nuovi. Pensai quindi a quanta voglia avessi di fare un viaggio con loro, di portarli sotto la soglia del cielo (sulla Terra), di interrompere quella che mi sembrava solo una magia e renderla realtà. Non esitai e gli dissi il piano che avevo in mente. Loro mi risposero che erano disposti a provare ma che non sapevano se ci saremmo riusciti e che quindi non dovevo rimanerci male se non fosse andata come pensavo. Iniziai a pensare ad un modo per portarli con me e poi realizzai che io mi trovavo lì con loro perché, davanti alla mia solita finestra, ero uscita dagli schemi, avevo viaggiato con la mente ed ero arrivata lì. Gli dissi allora di pensare alla finestra dal vetro scalfito, ad una giornata grigia e tempestosa, all’acqua che entrava dal buco della finestra e, infine, ai grattacieli del quartiere di Manhattan (dove vivevo al tempo). Era esattamente questa la situazione che avevo davanti agli occhi stamattina prima di ritrovarmi lì con loro, quindi, ragionando a ritroso, per far sì che loro riuscissero ad essere insieme a me dovevo solo farglielo immaginare, forse…
Emma Boschi / Liceo Classico Galileo di Firenze