Un pezzo di ghiaccio – Racconto

L’afa regnava sovrana. Il cielo terso di nuvole, i gelati sciolti dei bambini, i fiori appassiti sui balconi. Le finestre spalancate, il ventilatore ululante incrostato di sporco, il tavolino straboccante di mozziconi di sigarette. Nel bicchiere mezzo pieno un ultimo pezzo di ghiaccio in bilico precario tra la vita e la morte.
Alessio sonnecchiava supino sul divano, boccheggiando. Il suo addome si alzava e riabbassava pigramente; il braccio destro addormentato su di esso; il sinistro pendeva seguendo il movimento del corpo. Un russare sommesso riempiva le pareti vuote della stanza. In lontananza, un televisore trasmetteva il telegiornale di metà pomeriggio. Il piccolo orologio rosso sembrava l’unica scintilla di vita nel paese e non la smetteva di ticchettare arzillo.
Una folata di aria calda entrò esuberante nel soggiorno. Cogli occhi impastati di sonno, Alessio tastò davanti a sé alla ricerca del comando del ventilatore per alzare la potenza, già al massimo. Afferratolo, pigiò qualche tasto a casaccio e lo rilanciò sul tavolino, poi sprofondò di nuovo sul divano, sbuffando. Stava per tornare tra le braccia di Morfeo, quando si destò di colpo.
Qualcosa non tornava. Il silenzio si era impadronito della stanza. L’orologio si era fermato. Non un rumore, non un movimento. Aprì gli occhi e dette un’occhiata veloce al ventilatore: immobile. Alessio abbassò lo sguardo sulla sua camicia, madida di sudore. Sorpreso, si alzò per riempire un altro bicchiere. Girò la manopola e attese che l’acqua sgorgasse. Non uscì nulla. Alessio sempre più incredulo ripeté l’operazione. Niente. Con una stretta di spalle si spostò in camera sua, si cambiò gli abiti e si diresse verso la porta. Tirò la maniglia verso di sé, ma la porta non si aprì. Alessio la strattonò più forte; essa rimase ferma. Un insidioso, inquietante presentimento stava prendendo forma nella sua mente.
Corse in soggiorno, scansando enormi cumuli di spazzatura che stanziavano lì da giorni, che emanavano un odore nauseabondo e da cui fuoriusciva un liquido verdastro. Trovò le finestre serrate. Cercò di aprirle senza risultati. Batté i pugni sui vetri che non si degnarono neanche di tremare. Il caldo intanto si faceva sempre più opprimente. L’angoscia aveva preso il sopravvento sulla ragione. In uno scatto di follia si gettò sui vetri tempestandoli di pugni, procurandosi unghie rotte e un ematoma alla mano destra. Rovesciò ogni sedia del tavolo, già scheggiata per numerosi episodi simili.
Si fermò al centro della stanza, respirando. Si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore, i suoi occhi brillavano febbrilmente. Non aveva idea di cosa stesse accadendo. Volò verso il telefono fisso nell’ingresso. Non riuscì nemmeno a sollevare la cornetta, che era come incollata all’apparecchio. Sferrò un colpo alla parete, fracassando il cartongesso; lasciò un’altra crepa sui muri neri di fumo. Un gemito fuoriuscì dalle sue labbra. La temperatura stava salendo. Tornò alla porta, la tirò, la spinse, la prese a calci, pugni, spallate, la implorò, la offese, le urlò contro, ma lei non cedeva. Pareva schernirlo, quella cinica…
Sconfitto, Alessio si trascinò in soggiorno e allo stremo delle sue forze si distese sul divano. Il calore gli aveva annebbiato la mente. Chiuse gli occhi. Era caldo. Sul tavolino avanti a lui, il pezzo di ghiaccio si era sciolto del tutto. Lentamente, le lancette del piccolo orologio rosso si animarono di nuovo, scandendo ogni secondo.
Passarono più settimane prima che qualcuno mettesse piede in quella casa. La polizia, già da tempo sulle tracce dell’uomo, buttò giù la porta. Subito un tanfo alacre invase l’ambiente. I poliziotti rimasero esterrefatti dal tornado che sembrava essere passato nell’appartamento. Il cadavere di Alessio giaceva sul divano, le palpebre calate, come se si fosse addormentato. Prelevarono il corpo, che puzzava di fumo e di morte.
Quando anche l’ultimo agente fu sparito, una risata rimbombò per le stanze vuote. Dopo tanti anni di sofferenza, dopo essere stata trattata in quel modo osceno, dopo aver pazientato per un tempo interminabile, la Casa aveva finalmente avuto la sua vendetta.
Gemma Petri
Classe / Liceo Classico Galileo di Firenze