Adottato – Racconto

Non era mai stato adottato e, dopo essere passato da una casa famiglia all’altra, ormai si era stancato di sperare che sarebbe mai successo un giorno.
Aveva gli occhi grandi, neri e profondi abbastanza da rispecchiare la sua anima. Era minuto e con poche forze. In fondo a lui bastava la sua forza interiore, quella che nessuno poteva vedere o sentire, quella che solo lui conosceva.
Tutti dicevano che era troppo inquietante e che per questo non lo volevano prendere, o almeno così sentiva dire lui da dietro la porta. Ogni volta.
Quel giorno era pronto a essere rifiutato di nuovo, non gli sarebbe pesato poi tanto, era abituato.
Dopo cinque minuti che rimuginava su questi pensieri entrarono un uomo e una donna sulla trentina. Appena lo notarono in un angolo gli sorrisero, lui non ricambiò, li fissò e basta con i suoi grandi occhi scuri. Forse era la noia, forse era la stanchezza, forse l’odio che erano cresciuti dentro di lui col tempo, ma voleva fare in modo di non essere adottato, non voleva fare male a nessuno.
Ma quei due adulti all’apparenza tanto gentili si avvicinarono a lui che nella sua testa pensava:” Vi prego no, vi prego no”.
Una volta davanti a lui i due adulti si inginocchiarono e lo guardarono sorridendo.
Il bambino chiude gli occhi cercando di sopprimere le sue emozioni e per lo sforzo urla e mentre grida piange e poi, e poi silenzio.
I due adulti se ne vanno stupiti, forse non capiscono.
Il bambino appoggia l’orecchio alla porta per ascoltare le loro decisioni.
Il legno di quercia è troppo spesso e l’unica cosa che riesce a sentire è un bisbiglio sommesso.
Dopo di che entra la sua governante che in due anni non è mai cambiata d’aspetto, come lui del resto, e dice: ”Sei fortunato c’è finalmente qualcuno che ti vuole”.
Il bambino sbianca. Lui? Ma com’era possibile, chi mai poteva volere un bambino del genere?
Gli dispiaceva così tanto per loro, avevano fatto la scelta sbagliata.
Di solito per adottare un bambino ci vogliono garanzie, una bella casa e soprattutto soldi, ma qui si trattava di un bambino che non era mai stato adottato prima, che tutti volevano mandare via, quindi ci sarebbe voluto poco. Infatti qualche settimana dopo gli adulti lo tornarono a prendere.
Preparò i suoi bagagli e l’uomo lo accompagnò alla macchina.
Per arrivare all’uscita si doveva percorrere un corridoio in piastrelle bianche. Le luci soffuse illuminavano a mala pena il suo volto. Finora non aveva mai fatto caso alle persone che volevano adottarlo con particolare attenzione, ma questo uomo sembrava tranquillo e soprattutto felice. Aveva un sorriso stampato in faccia, ancora non si rendeva conto che stava andando incontro a un grande pericolo. In quel momento una lampadina scoppiò e i pezzi di vetro caddero sul pavimento.
Il bambino non fece una piega anche se dentro di sé era anche troppo preoccupato.
Entrarono in macchina e partirono. Il viaggio andò meglio del previsto, il bambino guardò fuori dal finestrino tutto il tempo e al massimo qualche fiore appassiva e qualche uccellino cadeva a terra. Era la sua tristezza che si faceva sentire. Il bambino non osava distogliere lo sguardo da lì, sapeva che appena lo avrebbe fatto sarebbe andata via una vita più importante di quella di un uccellino.
Una volta arrivati, il bambino scese subito e si ritrovò davanti una grande casa dai colori scuri, predominavano il rosso e il blu. Appena i due adulti scesero, lui li guardò con compassione, cercando di trattenere a bada la sua tristezza. Quando notò che alla donna stavano cadendo i capelli tolse lo sguardo e si diresse verso il portabagagli.
Entrarono in casa e arrivò quel momento, quel momento che prima d’ora non era mai arrivato.
La donna fece una domanda: ”Allora? Come ti sembra?”
Aveva paura di rispondere, come avrebbe reagito l’ambiente circostante?
“È bello” rispose.
Chiuse gli occhi aspettando. Ma non successe nulla. L’ambiente restò calmo.
Forse non aveva detto la frase con un’emozione forte, forse finalmente si era controllato, allora, incoraggiato da tutto questo aggiunse: ” Bellissima direi”. La reazione dell’ambiente non fu poi tanto esagerata. Alcuni fiori si ingrandirono talmente tanto che i petali caddero e delle piante crebbero di qualche centimetro. Era la sua felicità.
Ecco, avrete capito in che cosa fosse speciale questo bambino: le sue emozioni erano in grado di controllare l’ambiente circostante, che siano oggetti, che siano animali, che siano persone non fa differenza, ora, fin qui tutto bene, ma non tutto è oro quel che luccica. Infatti ad ogni emozione corrisponde una reazione.
Se è felice, tutto fiorisce e si rallegra, se è triste tutto muore e appassisce, se si arrabbia tutto esplode, ma che succede se dorme ed è sonnambulo?
Quella sera il bambino parlò serenamente per la prima volta. I suoi nuovi genitori gli raccontavano come sarebbe stata la sua nuova vita e lui sorrideva e aggiungeva alcune esclamazioni. Arrivò persino a parlare allegramente per qualche minuto. Ma poi si accorse che le piante stavano praticamente diventando alberi e che il piccolo pesciolino rosso nell’acquario stava diventando uno squalo e smise di parlare. Per la prima volta era felice, si sentiva a casa e, e se fosse stato felice per tutta la sua vita con loro non sarebbe successo nulla. Beh, si sbagliava perché l’ora di andare a dormire si avvicinava.
La donna lo accompagnò nella sua camera e lo mise a letto.
“Hai dei begli occhi” sospirò il bambino.
I suoi capelli si infoltirono e la sua pelle diventò di un colorito rosaceo, la sua felicità aveva di nuovo fatto colpo.
“Grazie, i tuoi mi ricordano tanto quelli di mio padre” disse lei.
“Buonanotte” disse il bambino sorridendo.
Spense la luce e il buio lo avvolse in un caldo e pesante abbraccio.
La felicità forse gli aveva offuscato la mente e così si addormentò, dimenticandosi di che cosa fosse capace di fare nel sonno. Persino io cercai di svegliarlo, io che sono sua madre, ebbene sì, avete capito, io sono sua madre biologica, quella che lui ha ucciso. Io sapevo dei suoi poteri quando ero in vita. Lo guardavo sorridere mentre le piante intorno a lui crescevano e gli animali quasi sorridevano a loro volta. Quando piangeva però tutto appassiva e quando si arrabbiava tutto esplodeva. Ogni volta che era ora di dormire lo chiudevo in camera per non farlo uscire, sonnambulo come era. Ma una notte scordai il lucchetto alla porta e lui uscì, girò per casa distruggendo tutto lungo il suo cammino, il nostro povero gatto vomitò tutte le interiora al suo passaggio, cercai di fermarlo ma appena lo vidi avvertii un terribile mal di testa, poi mal di pancia, poi iniziai a piangere tutta l’acqua che avevo in corpo. Fu così che morii, io non lo incolpo di nulla anzi è stata tutta colpa mia. Perché se le sue emozioni comandano l’ambiente nel bene e nel male quando è giorno, di notte i suoi poteri sono triplicati in peggio. Vorrei tanto dirvi cosa successe dopo che si fu addormentato ma non voglio, un po’ perché mi rattrista un po’ perché non sono grado di trovare le parole giuste. Molto spesso noi tendiamo a controllare le nostre emozioni per noi stessi ma questo bambino ha dovuto controllarle per se stesso, per l’ambiente, per gli animali e per le persone che lo circondano. Un tale peso non può essere sopportato da una creatura così piccola e fragile ed è per questo che quella creatura così piccola e fragile ora è qui vicino a me. Finalmente posso sentire il calore del suo corpo e non avere paura di abbracciarlo. A lui non manca affatto vivere, dopo quello che ha fatto ai suoi genitori adottivi ha deciso di farla finita. Qui in cielo non può cambiare né l’ambiente circostante né le persone intorno a lui perché ci sono solo nuvole e spiriti. Da un po’ di tempo sono comparsi i genitori adottivi e un pesce rosso grande come uno squalo.
“Wow, quindi è questo il motivo per cui sono morto?” mi chiese mio figlio.
“Sì, tesoro”
“Ah, quindi è per questo che quando muovo lo sguardo le nuvole si muovono e quando voglio le persone cadono a terra?”
“Oh no, non di nuovo…”
Asia Cardellini / Scuola Secondaria di primo grado Puccini di Firenze