L’Albero – Racconto

Nessuno lo aveva mai visto. Era un albero isolato, in fondo al giardino.
Mike aveva undici anni ed era il quarto di una lunga serie di figli maschi della famiglia Demming. Fino a quell’età, non era permesso a nessuno dei ragazzi di avventurarsi nel giardino dietro casa. Si dovevano compiere dodici anni prima di poter mettere piede in quel lugubre ma allo stesso tempo meraviglioso luogo deserto.
Mike, però, aveva sentito così tante storie dai suoi fratelli che non riusciva più a starne lontano. Doveva assolutamente avventurarcisi.
Decise quindi di prepararsi adeguatamente a questa esplorazione.
Corse velocemente in camera, aprì l’armadio e ne tirò fuori un maglione sgualcito, un paio di jeans vecchi, delle scarpe da montagna, uno zaino e un cappello.
Si vestì e scese le scale in fretta e in furia: fremeva dalla voglia di esplorare il luogo misterioso. Giunto in cucina, aprì il cassetto del padre in cui erano ammucchiati gli attrezzi da lavoro. Ne estrasse un coltellino svizzero e un vecchio ferretto da maglia che gli sarebbe servito per aprire la porticina.
Uscì di casa e si avvicinò al cancelletto in ferro verde arrugginito; già questo era inquietante. Si asciugò il sudore dalla fronte e iniziò a scassinare il lucchetto con i suoi arnesi. Infilò la bacchetta da maglia e si aiutò con il coltellino per aprirlo; sentì un sonoro clangore e scoprì con meraviglia che il vecchio cancello si era aperto.
Il suo cuore iniziava a battere sempre più velocemente mentre avanzava i primi passi oltre l’entrata. Si guardò intorno assicurandosi che nessuno fosse nei dintorni e cominciò la sua esplorazione. Il suolo era ricoperto di erba gialla e secca, tutta spiegazzata, come se qualcuno l’avesse calpestata di recente. Rabbrividì.
Camminò ancora qualche minuto, poi si bloccò. Se avesse avuto uno specchio davanti si sarebbe spaventato solo alla visione del suo volto.
Era paralizzato e la pelle, da bianca che era, iniziò ad assumere un colorito violaceo.
Di lì a poco perse conoscenza e si risvegliò dopo qualche ora; corse velocemente verso casa facendo attenzione a chiudere bene il cancello e si mise a letto. Era molto stanco ma soprattutto ciò che aveva visto l’aveva spaventato a morte.
Si addormentò a fatica, ma quella non fu come sperava la fine dei suoi brutti pensieri.
Un incubo lo agitò tutta la notte e lo fece sudare così tanto che iniziò a sentire i brividi che gli percorrevano la schiena. Fece un sussulto, si svegliò e controllò l’ora sulla radiosveglia. Le 4 e 35. Il cielo, fuori dalla finestra, iniziava ad illuminarsi delle aspre luci dell’alba, mentre tutto taceva a casa Demming.
Cercò di prendere sonno, ma invano, così si diresse verso la cucina in punta di piedi; percorse le scale con tutto il coraggio che aveva in corpo e prese gli stessi attrezzi che gli erano serviti il giorno precedente per aprire il cancello.
Fuori faceva molto freddo e tremava, ma non era per questo motivo.
Aprì di nuovo il cancelletto arrugginito e sentì il medesimo rumore metallico, ma questa volta risuonò diversamente nella sua testa: se la volta scorsa il suono era accompagnato da una forte curiosità, questa portava con sé una paura tale che avrebbe volentieri mollato tutto, ma sapeva benissimo che non se lo poteva permettere. Non adesso, almeno, che era già coinvolto in una faccenda alquanto stravagante.
Chiuse il cancelletto alle sue spalle e fece qualche passo avanti. Teneva i pugni stretti e nella sua mente si stava convincendo ad essere coraggioso per affrontare il pericolo.
Entrò nel giardino e in un attimo gli scorsero per la mente tutti i ricordi del giorno passato. Si voltò, ormai aveva camminato per una ventina di metri.
Non c’era ancora traccia della cosa misteriosa, ma pensava che sarebbe potuta sbucare fuori da un momento all’altro, senza alcun preavviso.
Ad un certo punto, i suoi occhi si illuminarono di una luce a metà tra lo sbigottito e il meravigliato, tanto che le lacrime iniziarono a rigare le sue guance e il suo respiro fu interrotto da mille singhiozzi. Davanti a lui si trovava un albero gigantesco, con una chioma verde smeraldo che ricopriva parte del tronco; l’alba lo irradiava di una luminosità che lo faceva risplendere.
Si avvicinò ancora, ansimante, asciugandosi le lacrime con la manica, pensando di non comportarsi come un bambino. Doveva essere forte.
Il fusto dell’albero si aprì, un bagliore magico lasciò spazio alla creatura che vi ci abitava; era bella, come una stella, e si stava impadronendo delle sue emozioni.
Aveva due braccia lunghe come tentacoli, le enormi mani sembravano in grado di rompere una pietra, ma anche di accarezzare una formica; mostrava di avere tutta l’aria di un cucciolo smarrito, ma anche della mamma che lo difende.
Ed era proprio così. Quella creatura, così pericolosa ma così rassicurante, era sua madre. Colei che aveva visto alla nascita e di cui non aveva più sentito niente.
Gli venne voglia di abbracciarla e le corse incontro, ma lo fermò; gli sussurrò qualcosa nell’orecchio e sparì, come se tutto questo non fosse mai avvenuto.
Rimase incantato qualche secondo poi, dopo un acuto rumore, si trovò sdraiato sul suo letto, con sua mamma lì con lui.
Aprì gli occhi, si mise a sedere e la strinse forte al petto. Lei lo guardò, gli sorrise e ricambiò il suo gesto, mentre tutto intorno cadeva nel silenzio.
Arianna Salvini / Scuola Secondaria di primo grado Puccini di Firenze