“Allargavamo le braccia come se potessimo toccarci”

La testimonianza di una maestra della scuola primaria San Siro

La didattica a distanza è stato un tema molto caldo durante il lockdown. Le classi si sono svuotate e la
scuola è stata bruscamente trasportata nelle case di alunni e docenti.
“Era una situazione del tutto nuova, noi cercavamo di rassicurarli, ma a volte ci sentivamo sopraffatti
dalla paura”. Queste sono le parole di Monica, una maestra che insegna ormai da 33 anni, e che prima
d’ora non aveva mai vissuto un periodo simile.
Ragazzi, ragazze e insegnanti si sono imbattuti improvvisamente in una nuova realtà scolastica:
“All’inizio è stato difficile accettare che avrei potuto lavorare solo al computer.” continua la maestra.
Durante questa situazione sono stati soprattutto i più piccoli a risentirne: “I bambini della primaria hanno
bisogno della presenza, del contatto”, un contatto che, a causa dell’emergenza Covid-19, non poteva
esserci e che probabilmente dovrà essere limitato anche in futuro.
Come ha affrontato con i bambini l’argomento Coronavirus?
“In base alle fasce d’età abbiamo usato linguaggi e materiali diversi. Con i più piccoli abbiamo dato
spazio alle loro sensazioni ed emozioni e poi abbiamo cercato di raccontare storie dove i mostri venivano
sconfitti”. E’ così che Monica e le altre maestre cercavano di rappresentare l’emergenza agli occhi dei
bambini: una favola che avrebbe quindi avuto un lieto fine. “Il messaggio era che alla fine il bene
prevaleva, cercando di dare loro un riscontro di forza sotto forma di contenuti che potevano sentire
vicini”.
“Con i più grandi abbiamo parlato più apertamente dell’aspetto scientifico e medico e anche
dell’importanza delle regole per prevenire la malattia. Abbiamo lasciato che parlassero loro, facendogli
anche scrivere dei diari giornalieri in cui esprimevano le loro emozioni”.
Avete fatto delle video-lezioni?
“Sì, era importante che i bambini sentissero la nostra voce. Non abbiamo potuto subito farle in diretta,
mandavamo quindi video-lezioni asincrone. Quelle sono state molto utili perché io ho cercato di
elaborare i loro materiali: digitalizzando i libri. Si ritrovavano quindi a ricalcare quello che si faceva in
classe”.
Come riusciva a tenere concentrati i bambini?
“Nelle lezioni in diretta l’attenzione è molto difficile da tenere perché i bambini nel loro contesto
familiare hanno mille distrazioni in più rispetto a scuola. Abbiamo visto che la cosa che funzionava era
rendere la lezione molto variegata: prima un piccolo video, poi una spiegazione, poi le loro domande, i
loro dubbi. Con i più piccoli abbiamo utilizzato molto le storie e la lavagna multimediale. Alla fine ero
molto soddisfatta sia delle lezioni sincrone che asincrone”.
Uno dei maggiori problemi legati alla didattica a distanza è stata la cosiddetta “disuguaglianza digitale”:
le famiglie numerose potevano non avere abbastanza computer o tablet per tutta la famiglia, oppure una
rete che riuscisse a sostenere più dispositivi; altri forse non potevano permettersi un apparecchio digitale.
“La nostra scuola ha fatto un lavoro incredibile: prima ha verificato le difficoltà delle famiglie e poi ha
dato a tutti ciò di cui avevano bisogno; abbiamo distribuito più di 100 tablet e siamo arrivati a tutti i
bambini. Probabilmente durante l’emergenza un po’ di disparità c’è stata, ma nella mia scuola non l’ho
sentita perché sono state messe in atto un sacco di azioni anche di tutoraggio: laddove ci rendevamo
conto che i bambini erano in difficoltà si sono creati gruppi di sostegno. Anche per i bambini con
difficoltà di apprendimento la funzione strumentale dell’inclusione ha lavorato molto bene, abbiamo fatto
attività che potessero arrivare a tutti”.
Si è trovata bene con l’uso quotidiano del computer?
“Devo dire che è stato faticoso, però ne ho ricavato anche un grosso arricchimento. Se non ci fosse stata
questa situazione particolare forse non mi sarei mai buttata in un’avventura del genere. La necessità di
dover fare arrivare le lezioni mi è servita tantissimo per migliorare”.
Quest’anno anche i criteri di valutazione sono dovuti cambiare in seguito alla situazione anomala. “Io mi

sono basata sul feedback in diretta, quando siamo riusciti a collegarci ho cercato di capire se avevano
compreso. Questi incontri magari erano preceduti da video che introducessero l’argomento e poi
successivamente si faceva la spiegazione vera e propria. Io mi basavo quindi su quello che mi sembrava
apprendessero e poi anche sulla consegna dei compiti”
“Abbiamo imparato molto ed è giusto adesso utilizzare questi strumenti” afferma la maestra parlando
dell’uso della tecnologia a scuola “Anche perché abbiamo visto che sono molto nelle corde dei nostri
ragazzi.
Riguardo la possibile fusione di DaD e didattica in presenza Monica dice: “Finalmente abbiamo capito
che il computer potrebbe anche essere uno strumento di studio oltre che di gioco. Non dovremmo
sostituire o alternare la DaD a quella tradizionale, credo sarebbe deleterio, ma affiancarla, cioè
integrarla, sì”.
La scuola, un luogo di apprendimento, ma anche di incontro e divertimento, è mancata molto a tutti: “I
piccolini avevano proprio la necessità di sentirsi, così un giorno ho inventato un rito che ci facesse
sentire più vicini: allargavamo le braccia come se potessimo toccarci!”
“La differenza principale fra ragazzi più grandi e bambini è l’autonomia. Noi abbiamo dovuto veramente
contare sull’aiuto delle famiglie”, dice Monica. Un aspetto critico della DaD è stato infatti legato alle
famiglie: non tutti erano in grado o avevano il tempo di seguire e aiutare i figli durante le lezioni online”.
I bambini della scuola primaria San Siro hanno però reagito bene: ”I bambini ci stupiscono sempre! La
prima lezione l’abbiamo impostata su come funzionavano le video-lezioni. Erano così contenti di stare
con noi che sottostavano alle regole che davamo”.
Monica conclude dicendo: “Quello che abbiamo scritto noi è una pagina di storia e come tutti gli eventi
storici cambia chiunque, quindi ci ha fatto rivalutare molte cose e probabilmente anche nei bimbi, grandi
o piccoli che siano, ha lasciato un segno. Che sia cambiato qualcosa non lo so, che sia necessario
ristabilire un rapporto nuovo e dare molta attenzione a come ci si incontra, a come si ricomincia, sì. Io
però sono molto fiduciosa che i bambini, con le loro risorse, sapranno guidare questo nuovo inizio”.

Giulia Corona, Ekta Chauhan, Sara Conio