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Turismo e inquinamento. L’importante non è dove si viaggia ma come. Intervista alla Dott.sa Simona Zedda

I dati mostrano che il turismo è in continuo aumento, ma di pari passo aumenta anche l’impatto che questo ha sull’ambiente. Come e quando è nata l’idea di creare questo Festival del Turismo Responsabile?

Pierluigi Musarò e Sonia Bregoli sono i cofondatori del festival. Loro facevano già i campi di volontariato con l’associazione IODA e avevano notato numerose iniziative relative al viaggio, ma nessuna di queste trattava un tema così urgente come il turismo responsabile. Il progetto nasce quando i due viaggiatori, che si occupano di immigrazione, si rendono conto di quanta iniquità ci sia nel sistema turismo. All’epoca, l’unica associazione che si occupava di turismo responsabile era l’Associazione Italiana Turismo Responsabile – AITR, ma l’obiettivo dei due viaggiatori era quello di diffondere questa pratica turistica, in modo che anche le istituzioni turistiche fossero incentivate a fare turismo in modo equo e, allo stesso tempo, ci si voleva rivolgere ai turisti, in modo che scoprissero questo nuovo modo di fare vacanza. Una componente del festival è sempre stata la migrazione, perché uno dei valori è appunto l’inclusione, che è data dall’equilibrio tra la cultura che ci viene portata dall’esterno e che ci arricchisce e l’accettazione dei migranti. Quindi l’associazione si occupa anche di modalità per includere i nuovi cittadini all’interno del sistema turistico. Per esempio a Bologna è stata creata una struttura ricettiva ibrida – l’hotel Pallone – in cui vengono accolti sia migranti che turisti. Fin da subito due ONG – NEXUS e COSPE – hanno collaborato al fine di dare vita a un programma di tre giorni, costituendo una piccola rete di associazioni riguardanti questo tema, per poi estendere la rete nel corso degli anni. Il festival nasce a Bologna, in Emilia-Romagna, terreno particolarmente fertile per sviluppare nuovi progetti, grazie alla sua partecipazione civica. La rete nel corso degli anni si è allargata con tante associazioni, strutture ricettive, esercizi commerciali; le istituzioni spesso hanno finanziato l’iniziativa e i suoi tavoli di coprogettazione, creando un dialogo tra istituzioni profit e no profit, che tutti insieme progettano appunto delle offerte turistiche, ma anche dei progetti di integrazione e dei progetti culturali.

Quali sono i comportamenti che un turista deve avere nei confronti dell’ambiente quando viaggia?

La parola d’ordine è “adattamento”, un turista si deve adattare sempre nel luogo in cui va. Deve essere curioso, attento alle caratteristiche peculiari della comunità. Deve diffidare “dei non luoghi”, ciò significa capire quali attività (ristoranti, bar, strutture ricettive) sono gestite dalla comunità locale. Bisogna diffidare delle grandi catene internazionali e immergersi nella cultura del posto andando nei luoghi frequentati dalla comunità locale. Non bisogna andare ad esempio nei parchi giochi, fatti a uso e consumo dei turisti, dove manca molto l’anima del luogo. Per quanto riguarda tutta la questione ambientale, un buon turista responsabile deve prediligere il viaggio lento, i mezzi di trasporto a basso impatto ambientale come la bici oppure andare a piedi. L’autobus, la macchina, il treno fanno perdere la maggior parte del luogo. È importante evitare la vacanza in cui si collezionano immagini e luoghi: un esempio sono i viaggi organizzati che prevedono continui spostamenti molto veloci per visitare più posti possibili. Bisogna fermarsi e vivere l’atmosfera del luogo. Per un turista è consigliato spostarsi e visitare i luoghi vicino a sé, ci sono sempre dei luoghi non lontani dalla nostra città da scoprire. È necessario stare attenti all’uso delle risorse del luogo: non bisogna usare tanta acqua, utilizzare meno energia possibile (limitare l’utilizzo dei condizionatori) e fare la raccolta differenziata. Spesso c’è un fenomeno studiato dai sociologi in cui il turista diventa molto meno attento alle regole, invece deve essere molto più responsabile perché è un ospite in quel momento. Deve spendere i propri soldi presso gli esercizi della comunità locale che significa non comprare delle sciocchezze importate da altri paesi ma incentivare l’artigianato del posto. Questo vale anche per l’agricoltura: bisogna mangiare i prodotti locali. In questo modo si porta ricchezza alla comunità locale. Il turista deve cercare di rispettare la cultura del luogo, per esempio se entrando in una sinagoga è obbligatorio mettersi uno scialle, un buon turista deve rispettare questa regola. Si possono imparare anche le parole più usate. Infine, prima di partire, è importante informarsi sui comportamenti da tenere nel luogo in cui si viaggia. Certi comportamenti non sono accettati oppure ritenuti maleducati.

Come fate a sapere se i turisti seguono le regole per essere dei “turisti responsabili”? 

Noi non abbiamo dei numeri così alti da poter monitorare gli eventi, le iniziative che noi promuoviamo, che sono coo-progettate dalle realtà che si occupano del turismo responsabile, come le camminate o i tragitti in bici. Ci sono dei cammini di gruppo che possono superare le 20 persone, e perciò è facile monitorare i comportamenti dei turisti, al contrario, è difficile monitorare cosa fa un turista quando è da solo, ad esempio quando è nella propria stanza. 

Tuttavia noi tendiamo a promuovere delle strutture ricettive che già praticano la sostenibilità e che magari hanno votato al proprio interno delle tecniche affinché tutti riciclino i rifiuti; affinché ci sia un consumo energetico minore (come la luce che si spegne e accende al proprio passaggio); e affinché si risparmi l’acqua. 

Ad esempio, scegliamo un ristorante fa uso di agricoltura rispettosa dell’ambiente: ci sono delle pratiche che compie l’agricoltore biologico. Noi cerchiamo di prediligere questa ristorazione a chilometro zero, cioè che compra le materie prime dagli agricoltori locali, senza una grande importazione, creando così delle catene virtuose di cooperazione del sistema turistico. Un sistema turistico è responsabile, quando si creano delle reti territoriali che partono dall’agricoltura e si fa funzionare tutta la “macchina”economica territoriale”, evitando troppe esportazioni e importazioni. Esistono infatti villaggi turistici dove i turisti vanno a mangiare per sentirsi più a casa. Ma in questo modo, gli agricoltori locali non guadagnano (perché i cibi vengono importanti da un altro Stato).

Quali sono i luoghi maggiormente inquinati dai turisti?

Molto spesso il turismo inquina quando è concentrato in pochissime zone, infatti uno degli obiettivi del turismo responsabile è proprio quello del decentramento e ridistribuzione dei flussi turistici. Le mete turistiche dove c’è una maggiore concentrazione di turisti sono di conseguenza luoghi più inquinati. Essendoci molte persone si consumano più risorse e si producono più rifiuti, questo fenomeno è chiamato overtourism. Uno dei luoghi più inquinati d’Italia è Roma che soffre moltissimo di inquinamento, anche Venezia è il caso che viene sempre riportato dalle cronache giornalistiche come caso di città che soffre tantissimo del flusso turistico, perché c’è una concentrazione di migliaia e migliaia di turisti ogni giorno. La comunità locale per quanto ci guadagni, spesso non riesce a vivere bene e non si può muovere liberamente. Ci sono dei progetti della stessa regione Veneto, in questo caso, ma anche in moltissime altre mete che soffrono di overtourism, volti a ridistribuire i flussi turistici perché, è vero che una meta è frequentata per le sue caratteristiche, ma spesso ci sono territori sconosciuti che vale la pena visitare. Basti pensare a Bologna, ha moltissimi luoghi di grande interesse che sono del tutto sconosciuti, le persone vanno nei luoghi più importanti ma Bologna è tanto altro. Quindi ridistribuire i turisti nel territorio circostante, montano o di pianura per esempio che costituiscono comunque il bolognese, può essere un modo per evitare concentrazione di turisti nello stesso luogo. Come Bologna, c’è anche il caso della Sardegna. Se si guardano i cataloghi nelle agenzie turistiche spesso è un’isola vuota, dove vengono evidenziate solamente le coste. Questo si chiama turismo statico balneare, la spiaggia è inquinata dall’overtourism perché il turista vuole solo stare in spiaggia, vuole l’albergo a ridosso del mare, sta in agglomerati urbani e non conosce nient’altro, non conosce la cultura del luogo e i paesi limitrofi. Si sta cercando il turismo integrato, che ha molti significati a livello socio-economico, in questo caso significa far in modo che il turista non vada a vivere solo negli alberghi sulla spiaggia ma che affitti casa in paese, che condivida gli alloggi, si deve immergere nella comunità locale. La comunicazione è fondamentale in questo caso, perché se disegno la Sardegna come un’isola vuota dove ci sono solo delle spiagge, non ti sto parlando bene del territorio. Se invece gli operatori turistici ti dicono che ci sono moltissimi itinerari all’interno della Sardegna, che la montagna sarda è molto particolare, ci sono ecosistemi autoctoni dove non ci sono da nessuna parte, ci sono paesi peculiari del territorio, ti comunicano che questa cosa esiste e sarebbe molto bella questa esperienza. Allora le persone sono invogliate ad andarci e vogliono scoprire questi luoghi. È importante una scissione politica del territorio volta a non favorire un consumo eccessivo di un solo territorio ma a distribuire i territori.

Vista la situazione che sta andando avanti da qualche mese, ovvero l’arrivo della pandemia mondiale, abbiamo notato tutti che c’è stato un blocco del turismo e quindi anche un miglioramento per l’ambiente e per le persone che vivono nelle mete turistiche. Potrebbe spiegarci quali sono questi miglioramenti?

Sicuramente abbiamo notato tutti che la natura ci mette pochissimo a rimpadronirsi di ciò che è suo. E’ stata la mancanza dell’uomo che ha portato la natura a riprendersi questi luoghi, in particolare sono stati beneficiati quelli in cui la concentrazione dei turisti, la produzione di rifiuti e il chiasso prevalgono sulla natura stessa. Ha contribuito anche il fermo di costruzione e manutenzione degli edifici, perché portano un miglioramento delle strutture turistiche ma anche una perdita di terreno da parte della natura. Inoltre abbiamo assistito alla diminuzione delle emissioni, questo perché i turisti si spostano spesso in macchina, usano mezzi di trasporto molto inquinanti come gli aerei e le navi da crociera, quindi questo ha portato un tracollo delle emissioni e l’ambiente ha beneficiato pienamente di questa immobilità. Tuttavia si parla di crisi del comparto turistico, nel senso che ci sono tantissimi operatori che ora sono in crisi. C’è da dire che ci sono cose che devono fare spazio ad altre. Bisogna fare dei sacrifici per attuare un cambiamento, l’attualità è sempre quella e si perdono troppi posti di lavoro. Se questi posti di lavoro potessero, grazie a delle politiche mirate all’impegno di tutti, convertire l’insostenibilità e l’irresponsabilità in un sviluppo turistico sostenibile, sarebbe molto meglio che far perdere il lavoro a delle persone. Ma non si può effettuare un modello economico e di sviluppo nocivo per noi e per l’ambiente con solo la retorica del “però si perdono molti posti di lavoro”. Si perderanno, è vero, ma un cambiamento va fatto e subito, perché i ghiacciai non si possono continuare a sciogliere. Bisogna intervenire facendo una conversione ecologica delle ricettive e del modo di fare turismo affinché i benefici che abbiamo assaporato durante la quarantena vadano perpetuati. Per gli affollamenti basta trovare un numero chiuso di persone che possono accedere a una certa area e attuare strategie che, come reclutano le definizioni del turismo sostenibile, accontentino i turisti preservando l’ambiente e le comunità locali. Questo perché con le politiche poco lungimiranti e che vogliono incassare subito, vengono consumati e deturpati luoghi naturali, di cui rimane solo cemento. Si può anche, per esempio, vedere una città senza gravitare su di essa, visitandola in periodi poco affollati e spostandosi nelle sue zone limitrofi. La quarantena ci ha insegnato che l’ambiente si rigenera ma anche noi dobbiamo aiutarlo. 


Chiara Fiori, Cecilia Legnani,
Giada Baldazzi, Federica Griggio e Simona Centonze