Diablo – Racconto

Viveva nel paese perfetto, dove niente poteva essere macchiato. Tutto era candido, visto da fuori. Tutto tranne un ragazzo sui trent’anni con gli occhi tristi, con l’anima cupa e un sorriso sprezzante stampato in faccia

Si chiamava Jonathan, aveva gli occhi grigi,  capelli neri come la pece, un piercing sul sopracciglio sinistro.

Si chiamava Jonathan, e la sua pelle era un mosaico di colori.

Sì, si chiamava Jonathan, ma era conosciuto da tutti come “il Mostro”.

Sul suo conto circolavano le più disparate voci: era visto come un malato, un violento, un mostro.

È vero, non aveva un carattere facile: era facilmente irascibile, sfogava le sue crisi di rabbia sul sacco da boxe che teneva nello scantinato e spesso i vicini affermavano di averlo sentito urlare maledizioni verso le persone che suonavano alla sua porta o che passeggiavano sotto la sua finestra. 

Quando usciva di casa nel pomeriggio, era come se tutti gli occhi della città si posassero su di lui e come se tutte le bocche iniziassero a parlare di lui.

«Lo sai? Lo sai che ha violentato e ucciso la sua ragazza?» molti mormoravano quando lo vedevano,

«Davvero?»

«Certo, non vedi come è conciato? Solo un malato potrebe ridursi in quel modo».

«Effettivamente…»

Jonathan sapeva che tutti parlavano di lui, che tutti gli vomitavano addosso cattiverie gratuite. Sapeva che tutti ammutolivano quando passava loro vicino in strada.

«Che c’è?»  rispose un giorno a due ragazze, «Non avete il coraggio di continuare a sputarmi veleno addosso ora che mi avete davanti?». Non risposero. «Ah, ho capito. Volete fare la fine della mia ex. Beh, l’indirizzo lo sapete…» sussurrò sorridendo sotto i baffi, «Lo sapete, lo so che lo sapete. Lo sanno tutti. Tutti sanno dove abito, tutti sanno cosa succede nella mia vita. Bah, stronzate…» concluse voltando loro le spalle.

Quelle sue reazioni, che si manifestavano ogni qualvolta si trovasse ad ascoltare qualcuno che stesse parlando di lui, suscitavano nelle persone commenti ancora più malevoli.

«Perché non se ne va? Qui sarebbe tutto così candido, senza di lui. Sarebbe tutto così normale…»

Un giorno bussarono alla sua porta: «Carabinieri, apri!» Jonathan aprì.

«Vorreste?»

«Lei».

«Per quale motivo?»

«Voci».

«E secondo voi vi faccio perquisire casa mia e portare in caserma per delle voci?»

«Se non vuole ulteriori problemi, le consigliamo di farci entrare senza opporre un’ulteriore, inutile resistenza».

Strinse i denti, trattenne un grido, si scostò dalla porta e li fece entrare.

«Cosa pensate esattamente di trovarci, in casa mia?» sussurrò.

«Droga» gli fu risposto.

«Divertitevi a cercarla, allora!», esclamò.

Perlustrarono l’intero appartamento, senza però trovare niente.

«Non è possibile che lei sia pulito».

«L’ispezione ha dimostrato il contrario, o mi sbaglio? »

Dopo quella risposta, calò il silenzio.

«Ci rivedremo, ricordatelo».

«Ci conto, caramba» sorrise mentre chiudeva la porta alle loro spalle.

Le voci di paese non tardarono ad arrivare; in termine di qualche giorno tutti sapevano dell’ispezione avvenuta in casa sua e tutti erano convinti che avesse pagato i carabinieri per non farsi sbattere in gattabuia.

«In fondo è impossibile che non abbiano trovato nulla!!» era la frase più ricorrente nelle chiacchierate al bar, «Li ha sicuramente pagati. Io lo vedo: tutte le notti esce verso le 1:30 e rincasa verso le 6:00, quando mi alzo per andare a lavoro. Sicuramente spaccia, o compie altri reati» sibilava la vicina, che non aveva altro scopo nella vita se non quello di tenere Jonathan sotto controllo.

Si chiamava Jonathan, ed un giorno tornò a casa con un tatuaggio in più.

Si chiamava Jonathan, e si era impresso “Diablo” sotto l’occhio destro. Da quel giorno, quello divenne il suo nuovo “soprannome”.

Si chiamava Jonathan, e decise di farsi chiamare “El Diablo”, così, per non darla vinta a coloro che volevano distruggerlo.

Diablo continuava la sua vita: incontri di boxe e di lotta greco-romana e uscite notturne. A casa ormai ci stava poco e quel poco che ci stava non aveva pace.

Poi, qualche giorno fa, decise di recarsi un’ora prima in palestra.

Si chiamava Jonathan, e sacrificò la sua vita per salvarne un’altra.

Infatti, mentre stava camminando per i fatti suoi lungo la via principale, udì un grido di donna, un grido di madre. Una voce disperata che chiamava suo figlio, Diablo si voltò. I suoi occhi grigi si focalizzarono su un cespuglio di capelli biondi fermo in mezzo di strada: era il figlio della vicina,  un bambino forse di due anni con i capelli d’oro e gli occhi azzurri, un piccolo angelo che era scappato dalla mano della mamma.

Lo chiamavano “Il Mostro”, e quel “mostro” lasciò cadere il pesante borsone che portava su una spalla, che rimbombò cupo al contatto col suolo, per gettarsi in mezzo alla strada e spingere via quell’angelo. Un angelo salvato dal Diablo, con il diavolo che cadde sconfitto al suolo, colpito in pieno dalla macchina che avrebbe ucciso il piccolo.

Si chiamava Jonathan, ma voi per mesi, anni, lo avete chiamato nei più disparati modi, tranne che col suo nome. Per anni lo avete deriso, odiato e distrutto dentro; ma oggi, oggi lo chiamate “eroe”. Siete venuti qua in massa, in questa stupida chiesa, per salutarlo. Voi che gli, anzi che ci, avete mandato i carabinieri in casa perché convinti che assumesse, o spacciasse, sostanze stupefacenti. Voi che tutti i giorni ne sparlavate, adesso siete qua ad elogiarlo. Adesso non avete più paura che violenti le vostre donne o che, preso da un attacco d’ira, picchi qualcuno per strada? Non lo temete più?

Lo avete chiamato “Diablo”, perché non era come voi e quindi, visto che lo avete sempre considerato diverso, doveva necessariamente essere cattivo.

Non si è mai abbassato al vostro livello, è sempre stato un passo avanti a voi.

Mentre voi eravate impegnati a descriverlo come un mostro,  Diablo dedicava la sua vita ad aiutare chi aveva più bisogno. Il giorno affronatava i suoi demoni sul ring, guadagnando qualche soldo, la notte girovagava nella città, per portare cibo, coperte e qualche moneta a chi non aveva niente. Per loro, è sempre stato un eroe. Ma per voi, abitanti di questa anonima e pusillanime città, queste persone non esistono neppure: sono solo spettri funesti che macchiano la vostra purezza. Chiudete gli occhi, come a sperare che l’incubo svanisca, vivendo voi stessi con gli incubi che vi create nella mente.

Ipocriti, dal primo all’ultimo. E lei, cara vicina, lei è la regina degli ipocriti.

 

La voce gli si spezzò in gola, scese dall’altare con gli occhi gonfi di lacrime.

Aveva i capelli biondi, gli occhi turchesi e “Diablo” tatuato sotto l’occhio destro.

Si chiamava Antonio, ed era stata la prima persona ad amare il Diablo.

Sì, si chiamava Antonio, ed era stato il primo “Angelo Caduto” della città perfetta, l’unico angelo che non si era fatto intimorire dal quel diavolo e che aveva messo l’amore davanti all’ipocrisia.

Laura Cappelli / Liceo Classico Galileo di Firenze, classe 5B