Il coraggio di dire basta – Racconto

“Ciao papà!” mi disse Peter correndo tra le mie braccia, con gli occhi pieni di lacrime, mentre cercava di nascondere la sua tristezza , gli chiesi cosa fosse successo e mi rispose così: “A scuola… mi hanno preso di mira… mi hanno tirato un pugno sullo stomaco e infine… mi hanno rubato la merenda”.
Con queste parole mi ricordai la mia esperienza di quando andavo alle medie. Era il 1974, frequentavo la scuola di ***, era il mio primo giorno di scuola ero emozionato all’idea di fare nuovi amici e studiare cose nuove, mi piaceva molto studiare.
Il primo giorno andò benissimo ma le cose cambiarono nelle settimane seguenti: ero diventato lo zimbello di tutti, a causa degli occhiali, soprattutto. All’inizio quella scuola mi piaceva, pensavo che gli altri volessero fare amicizia con me, ma non era proprio cosi.
Facevo i compiti per la maggior parte della classe ma poi dopo i miei “amici” iniziarono a prendermi la merenda, a strapparmi i quaderni e togliermi gli occhiali e buttarli per terra, e ogni volta si rompevano.
Quando ritornavo a casa la mamma mi domandava sempre come avevo fatto a ridurli così e io rispondevo sempre che mi erano cascati per sbaglio, ma mi dispiaceva perché non ero ricco e gli occhiali costavano molto; mio padre era un semplice operaio, la mamma invece era una casalinga ma facevano di tutto per comprarmeli.
Alcuni tra i miei compagni stavano diventando dei veri e propri bulli. Iniziarono a prendermi in giro perché non potevo permettermi dei vestiti nuovi e costosi, una bella macchina o l’ultimo telefono uscito; insultavano i miei genitori dicendomi che erano degli scansafatiche e cose simili.
Iniziai ad avere paura di loro e capii che la situazione stava degenerando. A scuola facevo finta di niente e stavo sempre zitto e se loro mi chiedevano qualcosa obbedivo e basta, senza discutere perché avevo paura, a casa invece tornavo in camera, mi buttavo sul letto e iniziavo a piangere e quel piangere mi faceva bene perché mi sfogavo.
Intanto la situazione si stava sempre più aggravando. Più i giorni passavano più non volevo andare a scuola, ero stanco di sopportare quei ragazzi o meglio bulli. Un giorno eravamo a mensa arrivò un ragazzo di fronte a me e mi prese il pranzo; io gli risposi che doveva ridarmelo (non so dove abbia trovato il coraggio), lui mi guardò e mi tirò un pugno talmente forte che mi rimase il segno, poi arrivò tutto il suo gruppo e iniziarono a darmi calci e pugni mentre ero a terra, così da provocarmi la rottura di un braccio e la perdita di due denti.
Ora tutti i bulli mi odiavano sempre di più si erano beccati una sospensione a causa mia, quindi ogni volta che mi incontravano dopo scuola coglievano l’attimo di calpestarmi e picchiarmi; tornavo sempre a casa con i lividi che coprivo con del trucco di mia sorella o con degli occhiali da sole.
Mia madre mi chiedeva sempre cosa avessi fatto e lei inventavo mille scuse pur di non dire la verità.
Erano mesi e mesi che subivo delle violenze ma rimanevo zitto e non dicevo nulla a nessuno. Il 13 aprile venni nuovamente aggredito da questa gang, però non mi ero accorto che a guardarci c’era la nostra professoressa di italiano che fermò questi ragazzi. Io iniziai a piangere e la ringraziai molto, la prof mi disse che dovevo parlarne direttamente con la mia famiglia; ma io avevo paura della reazione e soprattutto mi vergognavo di quello che mi avrebbero detto le mie sorelle e i miei fratelli.
Chiesi alla professoressa di dire ai miei genitori, al posto mio, quello che era successo e di tutto il resto. Lei accettò e a me mi si riempì il cuore di gioia, e d’istinto l’abbracciai.
I miei genitori si misero a piangere e mi consolarono, i miei fratelli all’inizio risero poi capirono la mia situazione e si scusarono.
A scuola la situazione stava migliorando, nel senso che non mi picchiavano più perché avevano paura di essere scoperti e puniti, però gli insulti c’erano, e in quantità enormi. Fuori da scuola a volte coglievano l’attimo per colpirmi con calci e pugni.
Arrivò l’estate e furono i tre mesi più belli della mia vita, non c’era nessuno di cui preoccuparsi, ma poi ricominciò la scuola: ormai ero alle superiori, era iniziato un nuovo capitolo della mia vita, ma non fu proprio così, iniziarono a prendermi in giro anche lì a causa di come mi vestivo.
Passarono due anni e ancora non ero riuscito a dire basta.
Ero stanco.
Un giorno mi decisi, eravamo a mensa e, mentre camminavo, sentivo tutta la gente intorno a me che rideva e faceva delle battutine ridicole sulla mia personalità, quindi di scatto mi girai e urlai: “Basta!” Tutti mi guardarono e rimasero a bocca aperta: non avrebbero mai pensato che uno come me, debole e fragile, avrebbe tirato fuori quel coraggio e quindi molti iniziarono a chiedermi scusa, soprattutto le ragazze che si misero anche a piangere, sapendo che si erano comportate da maleducate, i ragazzi invece dopo le scuse cercarono di abbracciarmi, ma io dalla paura che mi picchiassero mi scansai, anche se poi capii che non volevano farmi male e quindi ricambiai l’abbraccio lasciandomi alle spalle il dolore che mi avevano provocato.
Da quel giorno era iniziata per me una nuova era.
Finite le superiori passai un’estate magnifica insieme alla mia famiglia ed ai miei nuovi amici e conobbi anche la mia prima ragazza: mi piaceva molto, la amavo così tanto che dopo cinque anni le chiesi di sposarmi e mi disse di sì. Iil giorno del nostro matrimonio fu uno dei più emozionanti di sempre per me. Il giorno più bello ed emozionante però fu quello in cui nacque mio figlio Peter: era piccolo e paffutello e vedevo in lui la mia unica ragione di vita. Ora ha 9 anni e frequenta la quarta elementare. Io lavoro come commesso in un supermercato e molte volte vado nelle scuole, dalla primaria fino alle superiori, a raccontare la mia storia, di quello che ho passato e subito, e insegno a bambini e a ragazzi come affrontare queste situazioni. Adesso sono felice insieme alla mia famiglia.
Ho detto a Peter di affrontare i bulli della sua scuola e ora vive tranquillo e non ha più paura di nessuno e gli ho promesso che qualunque cosa gli succeda io per lui e per mia moglie ci sarò sempre.
Elena / Scuola Secondaria di primo grado Puccini di Firenze