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Addio Gigi Proietti, “core de Roma”. Ti ricordiamo così

Un uomo di tale impatto culturale non scompare con la morte, scompare solo se il popolo decide di dimenticarlo. E questo non accadrà

di Marta Venanzi

 

Il 2 novembre scorso, nel giorno del suo compleanno, Gigi Proietti ha lasciato un vuoto incolmabile, spegnendosi all’età di ottant’anni. Il suo amore per la vita e il suo entusiasmo, però, non si spegneranno mai. Dai night club al teatro, dagli esordi nel cinema alle trasmissioni televisive, Gigi Proietti ha influenzato con la sua arte autentica il patrimonio culturale italiano.

Aveva la naturale capacità di accogliere il pubblico come un amichevole padrone di casa, un padre addirittura. Gli spettatori erano rapiti dalla sua rasserenante risata, dalla sua voce profonda e dalla sua presenza scenica. Gigi Proietti rappresentava la passione e la bontà, rappresentava Roma in tutta la sua enfasi e il suo patriottismo.
Il 2 novembre 2020 Roma si è temporaneamente spenta. L’ingresso della clinica Villa Margherita, dove era ricoverato, ha incominciato a riempirsi di fiori, cartelloni e lettere, e le lacrime del “suo” popolo cadevano senza controllo.

In un periodo talmente affollato di preoccupazioni, una grande sicurezza si è dissolta, e ancora tra la gente traspare incredulità. Tra le scritte sugli striscioni c’è un “no, anche tu no!”, un grido malinconico per un uomo straordinario.

Il Colosseo riflette il suo volto sorridente, illuminando Roma e il suo dolore. Nel lutto generale, la città “eterna e fragile, tragica e ironica, cinica e innamorata”, come Proietti stesso l’ha definita nella sua autobiografia “Tutto sommato qualcosa mi ricordo”, è confusa, persa, appare senza rappresentanza, come se la sua voce non riuscisse più a cantare.

Sognava che i giovani potessero coltivare il loro talento e potessero assistere alla bellezza del teatro. Entrambi i suoi desideri divennero realtà: nel 1978 assunse la direzione artistica del teatro Brancaccio, aggiungendo il suo “laboratorio di esercitazioni sceniche” per i giovani attori e, nel 2003, da una sua idea, e grazie all’aiuto della fondazione Silvano Toti e di Walter Veltroni, nacque il Globe Theatre di Roma, basato sul modello elisabettiano londinese, e milioni di ragazzi assistettero agli spettacoli lì tenuti. Il Globe Theatre adesso porta anche il suo nome, in onore del suo impegno nel diffondere l’arte e la cultura.

Attivo politicamente fin da giovane, partecipava alle manifestazioni, si faceva sentire, e la sua popolare ironia fungeva da tramite. Le sue celebri battute resteranno patrimonio culturale italiano, non solo perché oggettivamente spassose, ma per la loro morale e i loro argomenti tipici dell’antica Roma.

Si pensi soltanto a “Er cavajere nero”, a “18,18,18”, alla “saÙna”, alla spiegazione dei termini volgari romani, alla “telefonata alla mamma” e altri ancora. Il suo più amato personaggio Mandrake, da Febbre da cavallo (1976), diventò il simbolo del vizio del gioco, col suo “soriso maggico”, il suo “è un whisky maschio senza rAschio” e le sue “Mandrakate” cioè i suoi inganni studiati per ottenere soldi da giocare.

Si ricordi inoltre la sua interpretazione delle canzoni “Barcarolo romano”, “Me so’ magnato er fegato”, “Nun je dà retta Roma” e “Te c’hanno mai mannato …”, per non parlare del celebre sketch “Nun me rompe er …” nel quale finge di imitare una canzone francese, aggiungendo la sua geniale espressività.  Il suo ruolo di San Filippo Neri nel film “Preferisco il Paradiso”, in più, ha sciolto gli animi di molti per via della naturalezza del personaggio.

Gigi Proietti non era soltanto un uomo di grande talento, era umano e generoso. È sorprendente il fatto che chiunque l’avesse notato, anche senza conoscerlo: i suoi occhi, la sua allegria e l’amore per la sua famiglia parlavano già a suo nome. Era dedito al suo “lavoro”, che considerava essere “il privilegio di poter continuare i giochi d’infanzia fino alla morte”, e seguiva con ammirazione l’operato dei colleghi (celebre, infatti, è il suo sonetto dedicato al grande Alberto Sordi).

La sua versione di “Ninna Nanna” di Trilussa possa cullarci e smorzare questa rabbia e questa amarezza che adesso aleggia tra noi. È bene ricordarsi che un uomo di tale impatto culturale non scompare con la morte, scompare solo se il popolo decide di dimenticarlo. E questo non accadrà