Una diretta su Instagram per combattere la Rape Culture

Survivor: così si definiscono le ragazze sopravvissute all’abuso sessuale, e Carlotta è una di loro. Carlotta Vagnoli è un’attivista per i diritti delle donne, in modo particolare si occupa di combattere la violenza di genere. Studia antropologia, collabora con centri antiviolenza e associazioni varie.

Martina è anche lei attivista e gestisce, insieme ad altre persone, la pagina Instagram @free_to_love, che ha come obiettivo quello di sensibilizzare i giovani riguardo la sessualità.

Rape culture

In occasione del 25 novembre, si è svolta una diretta sul tema “Rape culture“. Con “rape culture” (letteralmente “cultura dello stupro”) si fa riferimento a una sovrastruttura che normalizza stupro e violenza di genere attraverso i media, ovvero tentativi di ‘victim blaming’, di accusare la vittima, giustificati con ‘boys will be boys’ come a significare che gli uomini siano incapaci di autogestirsi di fronte a particolari situazioni.

Quasi sempre, dopo una violenza, si fa attenzione a dettagli riguardo la vittima, ad esempio “com’era vestita”, e poco spesso si incolpa chi commette l’azione, tendendo a giustificarlo con “l’ha fatto perché l’amava troppo, era solo geloso”.

Si può paragonare la violenza di genere sulle donne a quella sugli uomini? Già il fatto che, per la quantità innumerevole di casi di violenza su individui di sesso femminile, sia stato necessario costruire delle strutture apposite e che queste strutture siano continuamente piene di richieste di aiuto, ci fa capire la gravità della situazione. Inoltre la radice è diversa. La donna viene abusata, si sente di poterne fruire per un ‘atto di forza’.

Il patriarcato esige l’uomo di valore, con accanto una donna. Anche la donna deve avere accanto a sé un uomo, se non vuol essere definita ‘zitella’. Per impedirlo, la donna potrebbe sentire il bisogno di avere una figura vicino, ‘il principe azzurro che la salvi’, con annessa paura dell’abbandono.

Nel corso della diretta è uscito fuori lo ‘scandalo’ destato dal servizio andato in onda su Rai2 su come debba comportarsi una donna al supermercato per sedurre un uomo. ‘’Non poteva esserci giornata più inappropriata’’. Ma ci sono davvero delle regole da rispettare per conquistare qualcuno? E soprattutto, deve essere la donna ad avere determinati comportamenti per farsi notare? Queste tecniche non c’entrano niente. Ma soprattutto, perché non abbiamo mai visto un servizio in tv in cui venisse spiegato agli uomini come sedurre una donna nel supermercato e come fare per essere più sensuali tra gli scaffali? Perché non avviene?

Quando si parla di violenza si ha l’immagine di una ragazza stuprata da uno sconosciuto, ubriaca, fuori dalla discoteca, in un vicolo buio, nessuno che possa sentirla: è solo uno stereotipo. Le violenze si verificano anche nelle relazioni e a dimostrarlo sono proprio i dati che ci indicano che il 70% delle donne violentate sono vittima di un uomo che conoscono, che è talvolta il loro partner. Quando non c’è consenso è stupro.

L’importanza del consenso

Quando si può toccare il corpo di un’altra persona assicurandosi che ci sia consenso? “Nell’educazione al consenso’’, ci racconta Carlotta, ‘c’è bisogno di capire quando potersi approcciare al corpo di un’altra persona. Ad esempio, c’è il video di un dottore che è sul punto di fare un vaccino a un bambino e nel mentre gli chiede ‘’Posso toccarti?’’ il che, tra l’altro, infonde anche molta fiducia. Quando il bambino risponde “sì”, il dottore procede alla vaccinazione. Ecco, già questa prima responsabilizzazione riguardo i confini del proprio corpo potrebbe essere una cosa utile”.

Revenge porn

La stessa cosa vale per i ricatti digitali del tipo “se non mi mandi quella foto, vuol dire che non mi ami e quindi ti lascio”. Mancava il consenso in partenza, non mandare quella foto è abuso.

Revenge porn è il termine più corretto? Il termine ‘revenge’, cioè vendetta, presuppone che qualcuno abbia compiuto un’azione sbagliata ma in questo caso non c’è un qualcosa di sbagliato. E’ stato usato nella giurisprudenza per questioni di brevità. Il termine corretto sarebbe “condivisione non consensuale di materiale intimo”. Ad esempio, di recente, sono state condivise su gruppi Telegram foto che non coinvolgessero particolari parti del corpo femminile, anche semplici foto del volto con annessi dati sensibili della vittima. La reazione di alcuni è stata “dovevano stare più attente”. Ma in cosa di preciso dovevano stare più attente? “È materiale che tutte condividiamo sui social”, dice Martina. “Siamo tutte potenzialmente a rischio”, ribadisce Carlotta.

Queste sono definite come azioni di maschilismo performativo, in cui gli uomini dimostrano la forza e il loro potere agli altri membri del gruppo, sentendo di avere il controllo sulla vita della vittima e portando avanti il desiderio di distruggerla. “Dev’essere ansiogeno per gli uomini doversi dimostrare continuamente performanti, è un problema culturale maschile”.

Questi comportamenti vanno avanti da sempre. Lo stupro nasce come affermazione del popolo vincitore sul popolo vinto. I vincitori, per affermarsi, stupravano le donne (come se fossero merce di scambio). La donna stuprata e ingravidata era un atto di forza nei confronti del nemico. Sicuramente questi atteggiamenti sono, al giorno d’oggi, alimentati dai media.

L’industria del porno contribuisce alla violenza? Le industrie del porno non sono controllate, non hanno etica, non ci sono sindacati né controllo del materiale che viene pubblicato ed è sempre tutto “cucito a misura d’uomo” e fatto di cliché. Sicuramente non contribuisce a proteggere la donna.

Il catcalling non è un complimento

Cosa devo fare se mi fischiano per strada? Parliamo di ‘catcalling’. Devi sentirti al sicuro, “se proprio devi rispondere fallo di giorno e quando non sei da sola”, consiglia Carlotta, “perché è sempre un rischio. Se ti trovassi a dover scegliere se percorrere un marciapiede senza pozzanghere, passando però davanti a un bar con soli uomini seduti fuori o dover attraversare l’altro lato della strada e camminare su un marciapiede con un’enorme pozzanghera, quello che mi sento di dirti è va’ dove c’è la pozzanghera, almeno non rischierai il catcalling.”

Ogni volta che una donna riceve catcalling è frustata, imbarazzata, subisce traumi, crolla in attacchi di panico, ansia. Piuttosto che agire rischiando, cercate di tutelare la vostra psiche rivolgendovi ai centri antiviolenza”.

Le donne vittime di violenza tendono a non parlare della loro situazione per paura di non essere credute, per terrore delle conseguenze che potrebbero verificarsi ad opera del colpevole, per vergogna; ma riconoscere la violenza e avere la forza di denunciare è fondamentale per dire ADESSO BASTA!. La diretta si è conclusa con una frase piena di verità con la quale Carlotta ha incoraggiato le vittime a parlare sempre: “Dovete parlarne perché la cultura dello stupro si autoalimenta grazie all’omertà, così come la mafia.”

Non restiamo in silenzio.

Maria Chiara Stefano