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Primavera e autunno in simbiosi con la natura? Il Giappone ne è un esempio

Il Giappone. Il Paese del Sol Levante. Isolotti sparsi nel Pacifico i cui piccoli abitanti indossano variopinti kimono e mangiano sushi tutti i giorni. Terra di affollate megalopoli, kanji illeggibili e colorati anime. Questa è l’immagine stereotipata che l’Occidente solitamente tende ad avere di questo fantastico Paese. Ma in realtà il Giappone ha molto più da offrire e da cui imparare. Un esempio? L’invidiabile rapporto che, nonostante l’avanguardia tecnologica, viene mantenuto con la natura.

Per i giapponesi la natura è qualcosa di sacro. Il termine per identificarla, 自然 (shizen), significa “essere così come si è da sé stessi”, stando ad indicare la capacità della flora e della fauna di svilupparsi autonomamente e autosufficientemente senza l’intervento umano. A partire da questa definizione, mari, monti, colline e pianure vengono personificati attraverso delle divinità (come i kami nel caso dello shintoismo, vere e proprie forze della natura) e tramite la religione preservati dall’azione degli umani.

I giapponesi si immergono totalmente in un rapporto di armonia e simbiosi con il verde che li circonda, assorbendone l’essenza e le sostanze vitali. In particolare, il Paese è noto per la grande quantità di boschi e foreste sul suo territorio e dei meravigliosi cambiamenti che avvengono a livello degli alberi durante le mezze stagioni. All’iniziare della primavera o dell’autunno, infatti, i giapponesi intraprendono attività di culto delle aree alberate ammirando la maestosità della natura con le sue bellezze.

A partire dall’inizio di aprile si effettua l’hanami la tradizione di “osservare i fiori” (da はな, hana, fiori e , mi, vedere): l’evento, inizialmente introdotto nel Paese dalla dinastia cinese Tang, consiste nel celebrare e godere della bellezza delle infiorescenze, soprattutto quelle di ciliegio (sakura), osservandone lo sbocciare durante le belle giornate primaverili. Oltre alle lunghe passeggiate meditative e rilassanti dedicate alla contemplazione degli alberi e al rinnovamento dello spirito, la gente ama raggrupparsi attorno a grandi piante fiorite tenendo feste, danze, giochi, piccoli banchetti e picnic. Se le camminate si protraggono fino a sera tardi, grazie alla luce della luna e alle chochin (lanterne di carta), l’evento prende una piega decisamente suggestiva, quasi romantica. Ed è così, tra il riflesso della calda luce del sole danzante sull’acqua dei ruscelli e tappeti di petali bianchi e rosa caduti da folte chiome di alberi in fiore che i giapponesi trascorrono le loro primavere.

Analogamente, esiste una tradizione, molto meno conosciuta, che si verifica invece in autunno: il momijigari, letteralmente la “caccia all’acero giapponese” (da 紅葉, momiji, acero o foglie autunnali e 狩り, karu, caccia). Le persone non danno la caccia alle foglie per raccoglierle, ma vanno a “caccia” degli alberi che si sono tinti di rosso semplicemente per godere del magnifico spettacolo che offrono. L’attività ha origini aristocratiche: durante l’era Heian si diffuse infatti fra i nobili come passatempo: ci si ritrovava sotto gli aceri per suonare, cantare, danzare o recitare poesie d’amore, cercando ispirazione nella contemplazione delle foglie tinte di rosso. È quindi tra l’abbraccio di possenti rami ricoperti di morbidi colori caldi e il rassicurante sciabordio della corrente di celati torrenti che la gente, ancora oggi, passa l’autunno in uno dei Paesi con il foliage più bello al mondo.

Ecco quindi le soluzioni dei giapponesi per godersi due periodi dell’anno transitori e spesso considerati “inutili”, attraverso l’ammirazione della trasformazione dell’ambiente e la rivitalizzazione di uno stretto contatto con la natura.


Giovanni Lia 3AL