Emergenza sanitaria, violazione dei diritti di essere uomo

La normalità di qualche mese fa rappresenta per tutti un ricordo opaco e lontano, quello attuale è uno stravolgimento completo della nostra vita, che ha influito in modo indelebile su tutti noi. Sembra quasi anacronistico come il giorno prima eravamo nella piena disponibilità dei nostri diritti e da un momento all’altro ci siamo ritrovati spossessati dei diritti insiti nell’essere umano e sanciti dalla costituzione, tra cui libertà di movimento e diritto alla salute. Il Covid ci dà poca libertà di movimento e forse comprendiamo meglio quanto potersi muovere con una maggiore libertà sia decisivo per la nostra vita, individuale e collettiva. La pandemia e le misure prese per contenerla rendono evidente la vulnerabilità di tutti, ma creano anche forme nuove di vulnerabilità economica e sociale, così come aggravano condizioni di particolare vulnerabilità già esistenti. Un impatto particolarmente rilevante si ha nei bambini e in noi adolescenti, che siamo esposti a danni sociali rilevanti. Sono troppe per essere elencate le ricadute di carattere psicologico e sociale che le misure di contenimento del contagio hanno apportato a tutti noi; un esempio è la chiusura delle scuole che, seppur necessaria, ha aumentato a dismisura il livello di esclusione sociale. Oltre l’aspetto psicologico, emerge anche l’aspetto medico: durante l’emergenza milioni di persone con malattie croniche non sono state adeguatamente seguite, con gravi rischi di peggioramento delle loro condizioni di salute. Inoltre, molti bambini non hanno praticato le vaccinazioni raccomandate, a causa della chiusura impropria di diversi centri vaccinali, ed anche per la paura dei genitori di contrarre l’infezione recandosi in strutture sanitarie. Per tutti, il diritto alla cura incontra nell’emergenza non poche difficoltà.

Però c’è una domanda da porsi: come è possibile che ciò avvenga in termini così risoluti e qual è il limite alle restrizioni di questi giorni? In attesa del vaccino, i paesi hanno messo in atto misure di contenimento dell’epidemia. Esse sono varie, che sia l’indossare una mascherina, l’attuazione di comportamenti opportuni di distanziamento fisico, l’introduzione di divieti di determinati comportamenti e di determinate attività. Sul piano giuridico, limitazioni come quelle della libertà di circolazione, di riunione, di iniziativa economica, di religione sono da ritenersi non in contrasto con la Costituzione, quando si tratti di fronteggiare una minaccia grave alla salute pubblica. Sul piano etico, queste misure rispondono a un principio di solidarietà, portato dalla consapevolezza dell’interdipendenza tra salute individuale e collettiva. La nostra Costituzione esprime in modo chiaro e definito i nostri diritti e le nostre libertà, descrivendone anche limitazioni e confini e rimarcando al contempo eccezioni. Nella fase acuta della pandemia, per ragioni di indiscutibile necessità e urgenza il governo ha disposto forti limitazioni ai diritti di libertà, in particolare a quello di movimento di circolazione. L’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani riguarda il movimento dentro e fra gli Stati, stabilisce questi principi giuridici: “Ognuno ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni nazione. Ognuno ha il diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.” Esso determina dunque una libertà individuale e collettiva di movimento. L’articolo 16 della Costituzione Italiana fissa norme analoghe: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”. Un divieto di movimento è di conseguenza vietato ma ammissibile in casi rari ed eccezionali. Come ormai è risaputo, la mente umana si fonda sul movimento. Il movimento è all’origine dell’essere umano e ha un ruolo fondamentale e basilare per lo sviluppo e per il progresso. La mente pianifica i movimenti ed è al tempo stesso sede di essi. Durante la pandemia in corso, la libertà di movimento è stata quasi annullata dalle scelte autonome di grandissima parte degli Stati del mondo. Per l’uomo c’erano molte restrizioni anche prima, diverse di paese in paese: i divieti d’ingresso in un determinato paese, i muri costruiti e ancora in fase di costruzione, il mancato riconoscimento del diritto d’asilo, il dover giustificare rimpatri immotivati. Oggi come oggi, superare il confine del proprio Stato per qualsiasi ragione è impossibile, salvo singole eccezioni. L’obbligo di restare a casa non ha comportato ovviamente divieto di movimento per tutti e permanente; il grado di libertà si è ridotto, non si è annullato, per alcuni meno che per altri. La libertà è però sempre relativa, mai assoluta. Questi divieti di movimento hanno influito e continuano a influire negativamente soprattutto in ambito psicologico: abbiamo sperimentato sulla nostra pelle che la restrizione del movimento provoca disagi fisici e psichici, personali e sociali, ci manca uscire, ci manca la compagnia, e… strano a dirlo, ci manca la scuola, i professori, quelle mattine che seppur colme di ansia, stracolme di felicità. Nel contempo, il movimento fisico di contagiati e malati ha già provocato focolai che hanno collassato il sistema sanitario; bloccare o limitare l’ampia libertà di movimento è dunque divenuta una priorità di salute pubblica: movimenti fisici di più persone implicano più contagi.

Un altro diritto che è stato in parte derogato è il diritto alla salute. È l’articolo 32 a descrivere come è una responsabilità fondamentale della Repubblica il diritto alle cure, alla salvaguardia proprio del benessere della collettività. Oggi però, ritroviamo un contrasto tra la garanzia di libertà e quella di interesse collettivo nella tutela della salute, laddove nessuna delle due assume in assoluto valore prevaricatrice, spetta allo Stato scegliere quale debba prevalere sull’altra. Per capire meglio un ulteriore esempio lo troviamo nelle differenze tra quello che è accaduto in Cina, dove il governo ha imposto regole liberticide in funzione dell’emergenza imposta dal coronavirus e l’Italia, dove invece, norme simili hanno dovuto in primis coinvolgere la gente, invitando tutti a condividerle. Nel sistema democratico è pressante l’esigenza di dover dare conto alla collettività, la responsabilità di dover comprimere le libertà in funzione di uno scopo, adottando misure momentanee collegate all’eccezionalità. C’è differenza tra un paese democratico, che vuole preservare la tutela alla salute pubblica in circostanze così estreme, badando sempre e comunque al coinvolgimento e all’importanza di dover restringere le libertà individuali in funzione di scopo e chi, invece, non si pone in nessun modo la questione. Quanto esposto ci mostra una forte differenza etica e morale, che ci permette di essere ancora più fieri di come il nostro governo sta affrontando questo momento così difficile e deleterio per l’umanità, venendo meno non solo per obbligo ma per assoluta responsabilità, alle libertà naturali che caratterizzano la base del nostro stare insieme. Ciò dimostra che la democrazia, non è un limite ma è la massima esaltazione del valore di una comunità.

Rimane da capire perché la maggioranza degli stati si sia trovata ad affrontare l’attuale pandemia senza un’adeguata preparazione. In ogni caso, l’enorme diffusione del contagio, con le sue numerosissime vittime, fa sì che venga oggi in nuovo, drammatico, rilievo il tema dell’essere preparati alle emergenze sanitarie. L’essere preparati al tutto però è solo in apparenza un elemento nuovo: l’emergenza pandemica mette in realtà in luce un dovere a cui da tempo eravamo richiamati: il farci carico in modo preventivo della salute, tenendo presente la stretta interdipendenza non solo degli esseri umani tra di loro, ma anche tra tutti i viventi. Le misure prese per contenere la pandemia hanno un impatto diverso a seconda del genere. In primo luogo vi è il grave problema della violenza familiare.Tuttavia, l’impatto delle misure restrittive ha anche altri effetti: esse rischiano infatti di approfondire le disuguaglianze di risorse economiche e sociali tra uomini e donne, Stati e Stati, e di limitare la libertà, le opportunità di lavoro aumentando la disoccupazione.

Essenziale da comprendere è l’interdipendenza, che ora come ora, deve essere alla base di ogni rapporto umano; a dominare deve essere la solidarietà, senza la quale i due valori fondamentali della libertà e dell’uguaglianza non esisterebbero. Questa pandemia non deve essere vista solo per i suoi lati negativi ma anche come un’esperienza da cui si  possono trarre ispirazioni e soprattutto sviluppare responsabilità non solo verso sè stessi ma anche responsabilità collettiva. L’assunzione di responsabilità da parte dei cittadini implica anche un altro aspetto: il prendersi cura degli altri. Oggi più che mai, la responsabilità di ciascuno di noi si esprime nel tener conto di come le proprie azioni influenzino i presenti e i prossimi, avere cura di sé ma anche cura dell’altro e degli altri abitanti del pianeta: bisogna rendersi responsabili delle conseguenze delle proprie azioni. Entra qui in gioco la  consapevolezza dell’interdipendenza di tutti gli esseri umani tra loro, il che comporta l’adesione a un concetto di salute “circolare”: la salute di tutti e di ciascuno come dipendente anche dalla responsabilità del singolo individuo. La pandemia da coronavirus prima o poi passerà ma le scelte che siamo chiamati a fare oggi potranno cambiare le nostre vite per molto tempo. I cittadini devono essere consapevoli delle misure di prevenzione che lo Stato adotta, come perno a difesa della salute pubblica e insieme di quella individuale. Infatti, quando le persone sono messe a conoscenza dei fatti e dei progressi scientifici e hanno fiducia che le autorità pubbliche agiscano nella massima trasparenza, sono di solito ben disponibili ad adeguarsi ai comportamenti virtuosi per il loro bene e per quello altrui. Non sono solo i decreti ad impedire la libertà di movimento, ma essa dipende anche dalla responsabilità del popolo e dalla consapevolezza del potere che il singolo individuo detiene.

Mai come in questo momento, volersi bene implica mantenere le giuste distanze. È nella separazione che si comprende quanto si ama, è nel vuoto che si riscopre la bellezza ormai data per scontata. Un po’ come ad agosto, quando le città vuote si riempiono della nostra voglia di tornare. Un po’ come ora, mentre le nostre città vuote ci aspettano, per riabbracciarti presto. Responsabilità verso il prossimo, per il bene comune, ma anche e soprattutto per i propri parenti: nei confronti dei nonni, ai quali il covid può recare gravi danni fisici. Ecco, l’etica della responsabilità del movimento, non per cieca ubbidienza oggi, ma per realistica libertà domani.

Una volta terminato questo doveroso sunto di ciò di cui la pandemia ci ha privato, viene da porsi la domanda: cosa mi manca di più? Perché ci sono sempre delle piccole cose alle quali non attribuiamo il giusto valore? E poi, proprio quando non le abbiamo più, capiamo quanto in effetti fossero importanti. Oggi già penso a quando ci riabbracceremo di  nuovo, a quando fare la spesa tutti insieme ci sembrerà una festa, penso a quando torneranno i caffè al bar, le chiacchierate, le foto stretti uno all’altro. Penso a quando sarà tutto un ricordo, ma la normalità ci sembrerà un regalo inaspettato e bellissimo. Mi manca vivere, mi mancano le passeggiate, vedere volti nuovi che non appartengono alla propria famiglia, sentire il rumore delle macchine rimbombare nell’aria, mi manca respirare aria nuova, dimenticando “la paura di essere contagiata”. Non vedo l’ora di poter “tornare a vivere” e provare quel meraviglioso e inspiegabile “senso di rinascita”. Ognuno in questo periodo sta vivendo questo isolamento in maniera diversa, con stati d’animo che oscillano tra la speranza che tutto finisca quanto prima e l’avvilimento della realtà quotidiana. Quante volte ci siamo lamentati di cose futili, senza avere la minima percezione di cosa possa significare sentirsi in trappola, senza neppure avere la libertà di un abbraccio o di una stretta di mano? La nostra vita quotidiana sta subendo giorno dopo giorno un cambiamento a cui non è giusto abituarci perchè ci lede di ciò che ci è più caro: il contatto umano. E’ pur vero però che questa è una prova a cui tutti siamo sottoposti, senza distinzione di razza, ceto sociale o nazionalità. E’ un momento che ci costringe a fermarci, a riflettere, a rallentare e a maturare. Questo momento deve, perciò, assumere il valore di cambiamento e consapevolezza, deve essere un periodo da cui trarre beneficio, non ci deve abbattere e qualora accada, deve durare quel tanto che basta per risvegliare in noi  ancora di più la voglia di resistere e guardare oltre le nuvole nere e burrascose. Ma, soprattutto, deve farci apprezzare il senso di libertà che prima davamo per scontato, con la speranza che l’uomo, un giorno, anche se probabilmente lontano, possa capire quanto preziosa sia, non solo per sè stesso, ma per tutti gli esseri viventi, a cui spesso viene negata. Basti pensare a quante volte si dà per scontata l’immagine di un animale in gabbia o alle catene, io sono forse troppo di parte, sono un’animalista convinta che, ha sempre disprezzato l’idea dell’uomo come specie dominante e che si avvale del diritto di sottomettere gli altri viventi alle sue esigenze. Forse stiamo assaporando un pò di quelle ingiustizie che il genere umano ha da sempre perpetrato, anche se poco paragonabili in termini di intensità; ma se anche solo ci fermiamo a riflettere, vuol dire che qualcosa di buono sta accadendo e che tutto ciò che succede ha un senso, anche se non lo si riesce ad accettare o intravedere. Qui viene spontaneo citare la massima di Jim Morrison “Fai attenzione alle piccole cose, perché un giorno ti volterai e capirai che erano grandi.” Non ho mai desiderato grandi cose all’interno della mia vita, i piccoli gesti e le minime azioni mi hanno sempre resa più che felice. In questi giorni però vorrei di più, vorrei stancarmi di camminare per strada, vorrei correre disperata cercando di non perdere il pullman, vorrei guardare finalmente negli occhi le persone di cui più sento la mancanza. E poi vorrei tornare a quella vita “abituale” e “monotona” che sento essere dietro la porta perché…oggi come oggi c’è qualcosa di più speciale ed esclusivo della normalità?

Per concludere quest’articolo, quale miglior modo se non con le parole di un uomo, di un poeta vissuto un paio di millenni fa, e che poi, sette secoli fa, ha saputo indicare la strada che conduce fuori dall’inferno. “Nunc Animis Opus, nunc pectore firmo” “Ora c’è bisogno di coraggio, ora c’è bisogno di un cuore saldo”, (Aen. VI 261, Virgilio).

Francesca Cammarota, III A