Il fumo uccide, smetti subito!

La frase soprastante, è una conferma. Ma sotto c’è una domanda, Come e quando si è scoperto che il fumo danneggia, distrugge ed uccide le persone?

Il legame tra fumo e cancro fu avanzato più volte nel corso della storia, ma è soltanto a partire dall’inizio del Novecento che si cominciò a studiarlo in maniera scientifica. Già nella Germania nazista, nel 1939, lo scienziato Franz Müller aveva condotto uno studio epidemiologico che mostrava la relazione tra fumo e cancro. Quattro anni più tardi una ricerca analoga condotta da Eberhard Schairer e Erich Schöniger dimostrava che il tabacco è legato allo sviluppo di tumore al polmone.

Questi risultati, anche a causa delle gravissime violazioni etiche emerse dopo la guerra a carico di molti scienziati tedeschi, furono a lungo ignorati. Ma già dagli anni Cinquanta si cominciarono ad accumulare in altri Paesi prove sulla pericolosità del fumo. Il primo a sottoporre alla comunità scientifica uno studio che mostrava come il rischio di cancro aumenta con la quantità di tabacco fumato fu l’epidemiologo inglese Richard D. Poco più tardi due scienziati dell’American Cancer Society, Cuyler Hammond e Daniel Horn, realizzarono una ricerca da cui emergeva che i fumatori presentano un rischio di morte del 52 per cento superiore a quello dei non fumatori. Il numero di studi che mettevano in relazione il fumo con il cancro cominciò a crescere. Complice una strenua campagna negazionista condotta dall’industria del tabacco, però, la scienza ha impiegato molto tempo per trovare pieno ascolto quando presentava dimostrazioni via via più a convincenti sulla pericolosità del fumo.

A metà degli anni Sessanta, negli Stati Uniti scese in campo la politica: nel 1964 Luther Terry, il Surgeon General degli Stati Uniti (figura di nomina presidenziale, responsabile della sanità pubblica per il Governo) pubblicò il rapporto «Smoking and Health» in cui si ribadiva che il fumo di sigaretta causa il tumore al polmone. Negli anni Ottanta arrivarono altri rapporti ufficiali da cui emergeva che la nicotina crea dipendenza e in cui si illustravano i legami tra il fumo e i tumori di polmone, laringe, esofago, stomaco, vescica, pancreas e reni e con i danni all’apparato cardiovascolare e a quello respiratorio.

È in quegli anni che iniziò a diffondersi la pratica di apporre sui pacchetti di sigaretta le etichette informative che leggiamo anche oggi.

L’abitudine al fumo (tabagismo) rappresenta in tutto il mondo uno dei più grandi problemi di sanità pubblica ed è uno dei maggiori fattori di rischio per lo sviluppo di patologie neoplastiche, cardiovascolari e respiratorie.

Contrariamente al pensiero comune, il fumo non è responsabile del solo tumore del polmone, ma rappresenta anche il principale fattore di rischio per le malattie respiratorie non neoplastiche, come la Broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), ed è uno dei più importanti fattori di rischio cardiovascolare: i fumatori hanno un rischio di mortalità, a causa di una coronaropatia, superiore da 3 a 5 volte rispetto ai non fumatori. Inoltre, una persona che fuma per tutta la vita ha il 50% di probabilità di morire per una patologia direttamente correlata al fumo e la sua vita potrebbe non superare un’età compresa tra i 45 e i 54 anni.

Più di 1 miliardo di persone nel mondo fuma, di cui l’80% vive in Paesi a basso e medio reddito. Ogni anno, il fumo uccide cinque milioni di persone e il fumo passivo uccide 600.000 persone. Anche la spesa sanitaria per le malattie legate al fumo è significativa e in aumento; l’onere del fumo è costato all’economia europea oltre 500 miliardi di euro nel 2009.

Nonostante la massiccia riduzione delle malattie cardiovascolari negli ultimi 30 anni, rimane la causa principale di morte a livello mondiale. La maggior parte delle patologie cardiovascolari è evitabile. Uno stile di vita sano potrebbe prevenire più dell’80% delle malattie cardiovascolari.

Fumare è letale e anche una sola sigaretta al giorno è di troppo. Fumare una sigaretta al giorno aumenta il rischio di infarto del 50%. I fumatori più accaniti presentano un rischio ancora maggiore. Qualsiasi quantità di fumo è dannosa e smettere di fumare è l’unica opzione salutare.

Il desiderio di una sigaretta di solito dura 3-5 minuti. Se si riesce a superare quei pochi minuti, si è sulla buona strada per non fumare quella sigaretta.

Il modo più efficace per i fumatori di ridurre la possibilità di un infarto è quello di perdere il vizio del fumo. Il rischio può essere ulteriormente ridotto praticando attività fisica, seguendo un’alimentazione equilibrata, mantenendo un peso corporeo sano e controllando il colesterolo e la pressione sanguigna.

La dipendenza alla nicotina contenuta nelle sigarette costituisce l’ostacolo principale per smettere di fumare, tuttavia giocano un ruolo importante anche fattori di natura psicologica e sociale. Per questo motivo non esiste un metodo valido per tutti. Il periodo in cui buona parte dei fumatori accende la prima sigaretta è l’adolescenza, quando si prova per la prima volta per “sentirsi più grandi”, spesso sotto l’influenza dei compagni. Sono quindi fondamentali gli interventi educativi che coinvolgano scuola e famiglia, luoghi privilegiati e più competenti per iniziare a educare alla salute e, nello specifico, a prevenire l’abitudine al fumo.

I dati Istat indicano che il 90% degli ex fumatori ha smesso senza bisogno di aiuto. Se non si riesce a smettere da soli, la cosa migliore da fare è sentire il proprio medico di famiglia e decidere insieme un percorso. Infatti, è dimostrato che maggiore è il supporto che si riceve, più è alta la probabilità di smettere di fumare in modo definitivo. Le strategie per smettere di fumare oggi comprendono terapie farmacologiche e sostegno psicologico.

Dal 2 maggio del 2000 è inoltre attivo il Telefono verde contro il fumo (800-55-40-88) dell’Osservatorio fumo, alcol e droga dell’Istituto superiore di sanità. Si tratta di un servizio anonimo e gratuito attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 10.00 alle ore 16.00.

Anna Marani