Recensione del romanzo: “Frankestein” di Mary Shelley

Victor Frankenstein è un giovane scienziato ginevrino che, spinto dall’ardore della ricerca scientifica, trova un modo per creare la vita. Costruisce così una creatura umana con pezzi di
cadaveri, ma rimane atterrito dalla mostruosità della sua creazione. Il mostro fugge e si macchia di jorribili delitti, uccidendo perfino i familiari del suo creatore. Frankenstein incontra il mostro sulle vette e gli racconta la sua storia.
In lui, vi era una nativa bontà e gentilezza, un bisogno di amore e comunione con gli uomini, ma questi ultimi lo avevano sempre respinto e perseguitato, terrorizzati dalla sua mostruosità. L’infelicità lo aveva così reso malvagio, generando in lui il desiderio di vendicarsi del suo creatore.
Chiede, perciò, allo scienziato di creargli una compagna, che lo ami e divida con lui la sua
solitudine, lo accetterà Frankestein?
Ritengo che sia incantevole tutto ciò meravigliosamente diverso e fuori dal comune, proprio per questo premessa ho adorato Frankestein. Volevo vedere fino a che punto sarei riuscita ad immedesimarmi in quell’ assurdo essere e, come immaginavo, andando avanti con la lettura non sono riuscita più a rivedermi in essa.
Fino alla fine però, ho indossato le sue scarpe e ho camminato il suo percorso, tornando alla realtà per raccontarlo ora. Lo scopo dei film, delle serie tv e ovviamente dei libri, è quello di far affezionare lo spettatore o il lettore al personaggio principale; nella maggior parte dei casi funziona, è normale, è logicamente possibile che la persona empatizzi con il protagonista.
Perché? Semplice. Il protagonista ci accompagnerà dall’inizio fino alla fine della storia, è naturale affezionarsi a lui e alle sue vicende.
Nel mio caso è stato così fino a un certo punto. Probabilmente sarà stata la struttura elaborata perfettamente da Mary Shelley a far in modo che si verificasse ciò.
L’autrice di questo romanzo è stata incredibilmente intelligente e accorta nella costruzione della trama e dedica uno spazio importante alla narrazione della vita straziante del “mostro”, che riesce o potrebbe riuscire a confondere la mente del lettore, facendogli provare una forte compassione nei confronti della creatura.
Dopo l’esserci immedesimati nel protagonista, la sua creazione ci dimostra l’animo dolce e sensibile che possiede, pieno d’amore ed empatia; la strana creatura è altruista, ma purtroppo, le azioni benevoli che svolge sembrano non avere importanza ed essere contrastate dal suo aspetto fisico.
Mettendomi nei suoi panni, ho sofferto durante la lettura di questi capitoli, ma ho provato dolore anche quando era proprio Victor, il personaggio principale, a patire la vendetta della sua creazione. È proprio questo ciò che intendo per “confusione mentale”.
A tratti provo compassione per l’incontenibile infelicità dell’essere e subito dopo, ripercorro la disperazione che ha provocato nel cuore di Victor, uccidendo tutte le persone che ha amato
profondamente, l’essenza del suo essere, come definiva lo stesso protagonista.
Ma lo sconforto di quell’abominio è dovuto alla sua esistenza originata da Victor, il suo creatore, che egoisticamente lo ha creato come soddisfazione, vittoria personale, non dando importanza ne alle conseguenze che la creatura avrebbe subito, nè a quelle in cui la società si sarebbe imbattuta.

Mettendo a paragone i due personaggi, potrei considerare che entrambi abbiano commesso gravi errori, ma ritengo che nessuno dei due possa essere definito un mostro. Tuttavia,  sono fermamente convinta che se quell’essere venisse chiamato mostro, anche Victor Frankestein dovrebbe essere definito allo stesso modo.

Giuliana La Rocca, III M