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Diritto ad essere rispettati come persone: Considerare l’accessibilità ai tamponi, il fenomeno dell’aggressività nei confronti dei presunti “untori”.

Il 2020 è stato un anno che ha segnato le vite di miliardi di persone di qualsiasi età,
genere, nazionalità e classe sociale. Un anno di cambiamenti, di chiusure, di
restrizioni, di barriere. È sembrato che la nostra storia provenisse dalla penna di
Alessandro Manzoni, che nella sua celebre opera “I Promessi Sposi”, ci fornisce un
ritratto storico e psicologico della vita durante la peste del 1630 a Milano.
L’epidemia seicentesca ha lasciato spazio ad una moderna pestilenza, il corona
virus, con sintomi e conseguenze completamente differenti. Tuttavia, nonostante i
secoli di distanza, l’approccio alla malattia è abbastanza simile, soprattutto riguardo
la concezione degli “untori”; emerge, anche oggi come allora, la figura del“capro
espiatorio”, ossia di un individuo a cui affibbiare una colpa. Si tratta di un’ideologia
di tipo psicologico che ha piantato le sue radici nella mente dell’essere umano sin
dalla sua nascita, ed è molto difficile, a tratti impossibile da estirpare del tutto. La
sensazione di avere il pieno controllo della situazione trovando un colpevole è un
mezzo usato dall’uomo per sconfiggere il timore di ciò che non conosce o di cui ha
paura ed evidentemente continua ad essere usato a distanza di secoli, visto che
queste evidenze sono riscontrabili e visibili ancora oggi, accentuate dalla presenza
di un’epidemia mondiale, come quella che ci sta letteralmente travolgendo. Il romanziere
ottocentesco, con il suo racconto sulla peste a Milano, sottolinea come i pregiudizi
sono portatori di odio e dimostra come la mente umana cada facilmente in questa
tentazione; con la diffusione del coronavirus si è verificato un fenomeno simile. La
Cina ad esempio, e in particolare la città di Wuhan, dove si è manifestato per la
prima volta il virus, sono state etichettate come “untrici ” e “portatrici del morbo”in
tutto il mondo. Al di là della veridicità di tali accuse, la conseguenza negativa di
tutto ciò è stata la diffusione di forme di odio e di razzismo nei confronti dell’intero
popolo asiatico. Tale clima di astio è stato alimentato dall’uso dei social media e
dalla circolazione di “fake news”, notizie false che fanno leva soprattutto
sull’ingenuità e sull’ignoranza di molte persone, le quali, in questo caso, sono state
indotte ad evitare ogni contatto con la popolazione cinese; tutti atteggiamenti,
questi, che hanno alimentato la ricerca di un colpevole a tutti i costi e che rischiano di
condurre ad un allontanamento tra gli individui, non solo fisico, ma anche
psicologico e umano. Non si può dunque permettere al virus, che tante vittime ha
già fatto, di alimentare il clima di odio e di diffidenza tra le persone, non si può
concedere alla paura di innalzare barriere, perché solo con l’unione di intenti e di
azione si può sconfiggere un nemico così grande, sempre nel rispetto delle regole a
tutela dei diritti di tutti i cittadini. È fondamentale seguire le indicazioni e le
disposizioni per evitare il contatto con le persone contagiate, ma questo non deve
sfociare in razzismo. È fondamentale anche affidarsi all’informazione corretta, quella
divulgata da testate giornalistiche accreditate e soprattutto quella provenienti dal
mondo scientifico.
Il fenomeno sociale della “caccia all’untore” ha insito un altro interessante aspetto,
quello della sindrome dell’untore ovvero di quel senso di colpa che affligge chi,
positivo, teme di aver contagiato parenti, amici e familiari. Affligge anche chi, non
positivo, è terrorizzato dall’idea di poter entrare a contatto con soggetti a rischio,
come genitori anziani; quanti non vedono i propri cari da mesi perché impauriti
dall’idea di contagiarli! Anche in questo caso si arriva alla duplice conclusione per
cui un tale atteggiamento sia giusto perché protegge gli altri, ma sia lesivo della
serenità e dell’equilibrio psicologico di chi lo pone in essere.
A differenza del Seicento, però, in cui non era possibile alcun tipo di valutazione
dell’andamento di un’epidemia, la tecnologia e la ricerca sanitaria forniscono,
oggi, i mezzi per poter contenere e soprattutto per poter verificare il numero degli
ammalati grazie, per esempio, all’utilizzo dei tamponi. Tuttavia, l’utilizzo dei tamponi
nel nostro paese ha portato alla luce molteplici problematiche riguardo
principalmente la loro efficacia, l’organizzazione inerente la distribuzione, i costi, la
mancanza di personale medico specializzato, con conseguenti difficoltà per tutta la
popolazione ad accedere ad essi. Durante la prima ondata del contagio,
l’accessibilità ai tamponi era possibile solo per coloro che manifestavano sintomi,
con la grave conseguenza che tutti gli asintomatici sono stati potenziali diffusori
inconsapevoli del contagio. Ma poi, anche i sintomatici hanno avuto difficoltà ad
accedere ai tamponi: c’era scarsa disponibilità, il costo dei test era diventato
insostenibile, il personale specializzato insufficiente. I laboratori privati hanno
supportato le strutture sanitarie pubbliche mettendo a disposizione i test, destinati
però ai soli pazienti in grado di sostenere il costo dell’esame. Tutto questo ha
portato alla triste conseguenza di casi clamorosi riportati su tutti i più importanti
giornali italiani come quello, tra i tanti, del giovane 23enne di Macerata che, in
quarantena fiduciaria perché a contatto con un positivo, dopo innumerevoli tentativi
vani di mettersi in contatto con l’ASL del suo comune, ha dovuto arrendersi all’idea
di non ottenere una certificazione che attestasse che fosse stato in quarantena e
che fosse negativo, non avendo mai potuto fare il test gratuito e non potendo
sostenere il costo del tampone fornito da una struttura privata.
O ancora, il caso, denunciato dall’ex parlamentare Argentin, presidente
dell’associazione AIDA, che durante una trasmissione televisiva, ha esposto il
problema di molti disabili gravi che sono stati costretti a fare lunghissime file per i
tamponi. Molti di essi devono fare tamponi continuamente venendo a contatto con
tante persone, a causa della loro disabilità. L’Argentin ha espresso il suo parere
riguardo questa situazione, condannando il non aver pensato, ad esempio, ad un
tampone domiciliare per i disabili gravi, che avrebbe potuto consentire loro un modo
più agevole di sottoporsi ai test.
L’amara conclusione a cui purtroppo si deve giungere è che il nostro sistema
sanitario, che è un sistema assistenziale e che per questo assicura il diritto ad
usufruire dei servizi di prevenzione e cura della salute scegliendo liberamente tra
una struttura pubblica o privata, ha dimostrato ancora una volta ed in un momento
così delicato come quello che ancora oggi viviamo, di svantaggiare tante fasce di
cittadini, soprattutto quelle con reddito basso, escludendole dall’assistenza
pubblica garantita e ha anche dimostrato i limiti di una burocrazia ingombrante, che
finisce per svantaggiare purtroppo i cittadini con disabilità. Ciò dimostra anche
come tutti noi siamo così fragili e indifesi sia nella condizione di individui, dovendo
fare i conti con le nostre paure, con l’egoismo, con quella forma di autodifesa che
spesso ci porta a non immedesimarci nel prossimo, allontanandoci inevitabilmente
da esso, sia nella condizione di cittadini, dovendo subire le decisioni, non sempre
dettate dal buon senso, di chi ci governa.

Benedetta Falivene III C