Un letterato al servizio dei potenti?

Ennio è il primo poeta latino che scrive un poema in esametri, il metro di Omero, poi utilizzato da tutti gli epici successivi: il suo poema fu tra i principali modelli stilistici del De rerum natura di Lucrezio e dell’Eneide di Virgilio.

A differenza di Plauto, che si specializzò nel genere comico, egli si pose sulla stessa linea di Livio Andronico e di Nevio, coltivando vari generi letterari: l’epos, la tragedia, la commedia. Per la novità e l’eccellenza della sua poesia, fu considerato nel I secolo a.C. il vero fondatore e “padre” della letteratura latina: in età augustea, sia Orazio sia Properzio  lo chiameranno pater Ennius.

Ennio fu il primo vero genio della poesia latina, nacque  a Rudiae, nei pressi dell’attuale Lecce, e non lontano da Taranto, centro importantissimo di cultura greca. Si sentiva, infatti, come lui dice, un “uomo con tre cuori”, perché non padroneggiava una sola lingua materna, ma ben tre: latino, greco e osco. Questo poeta poliglotta non esitava inoltre a definirsi dicti studiosus, corrispondente al greco philòlogos, a sottolineare la sua competenza linguistica e maestria letteraria. Combatté nell’esercito romano durante la seconda guerra punica, tra le truppe ausiliarie.

Arrivato a Roma, entrò in relazione con la famiglia degli Scipioni e altre importanti casate aristocratiche; delle gesta del grande Scipione Africano fu il cantore nella sua opera principale , il poema Annales

Egli però fu legato anche ad altre famiglie aristocratiche. Nel 189 a.C Marco Fulvio Nobiliore lo portò con sé nella campagna di guerra contro gli Etòli che culminò nella presa della città di Ambracia. L’iniziativa fu deplorata da Catone, che giudicò disdicevole per un console portarsi al seguito un poeta: ciò esulava infatti dal costume tradizionale romano, mentre corrispondeva ad un’usanza ellenistica di cui Alessandro Magno era stato il più illustre rappresentante.

Nel 184 a.C. Quinto Fulvio Nobiliore, figlio di Marco, fece avere ad Ennio la cittadinanza romana, iscrivendolo fra i cittadini di una nuova colonia: in quella occasione il poeta assunse il prenome del suo patrono, Quinto, e il poeta essendo così orgoglioso dell’avvenimento, mostrò il suo orgoglio in un famosissimo verso:

Nos sumus Romani qui fuimus ante Rudini

Io sono un cittadino di Roma, io che un tempo fui cittadino di Rudie

Secondo Cicerone, Ennio morì nel 169 a.C. Gli Scipioni vollero che una statua del poeta fosse disposta nella loro tomba di famiglia, sulla via Appia, accanto alla statua dell’Africano, morto 14 anni prima.

L’opera principale di Ennio fu un poema epico in esametri, gli Annales, in cui si celebrava la grandezza della storia di Roma.  Storici di epoca di poco successiva avrebbero individuato nei cinquant’anni intercorsi tra il 220 a.C.  e il 170 a.C., la prodigiosa ascesa di uno Stato di medie dimensioni, capace in poco tempo di sottomettere le grandi forze che da secoli e secoli dominavano il Mediterraneo, per istituire un nuovo sistema politico che avrebbe dominato nei secoli venturi.  Ennio fu testimone oculare di quegli avvenimenti e li seppe trasformare in poesia.  Gli Annales, fino alla comparsa dell’Eneide di Virgilio, furono considerati il poema nazionale di Roma. Gli Annales furono l’opera di una vita, un vero e proprio cosiddetto work in progess. A mano a mano che gli eventi si susseguivano incalzanti, Ennio li celebrava. L’opera fu pubblicata via via che veniva composta, a gruppi di sei libri. All’inizio del settimo libro Ennio inserí un secondo prologo in cui esaltava se stesso, vantandosi di aver usato per primo l’esametro e non il rozzo saturnio del predecessore Nevio.

La scarsità dei frammenti impedisce di dare un giudizio sul valore poetico dei versi, anche se a grandi linee abbiamo un’idea della trama degli Annales. L’esametro di Ennio era ancora un po’ grezzo e continuava a utilizzare gli strumenti tipici della poesia romana arcaica, in particolare l’allitterazione, con un’insistenza che a un lettore moderno sembra ingenua, a volte quasi un’autoparodia, come in versi quali:

at tuba terribili soniti taratantara dixit

e la tromba con terribile suono disse

o Tite tute Tati tibi tanta turanne tulisti

o tu Tito Tazio, tiranno, hai subito tante sofferenze

Anche se c’è chi pensa che questi “scioglilingua” siano stati inventati dai poeti di epoca classica che deridevano l’arcaica solennità dello stile poetico latino, di sicuro, l’allitterazione è uno degli elementi originari della poesia latina, a cui il pubblico di Ennio era legato, orgoglioso di una lingua dal timbro ancora marziale e aspro, non dolce e raffinata come la greca.

Un letterato al servizio dei potenti?

Sotto certi aspetti Ennio si presenta a noi come un tipico letterato al servizio dei potenti: il poeta che esalta i suoi protettori Scipione e Nobiliore, e che aggiunge un nuovo libro al suo poema per celebrare le imprese dei due fratelli Cecili, protagonisti della guerra contro gli Istri nel 178-177 a.C. Tuttavia, per non incorrere equivoci, è opportuno fare a questo proposito alcune considerazioni:

-data l’organizzazione della cultura del mondo romano, un letterato di professione che non avesse beni propri tali da consentirgli  di vivere di rendita, difficilmente poteva  mantenersi con i proventi della sua attività: proventi derivanti dall’insegnamento, o dai compensi per la produzione teatrale; l’appoggio di patroni ricchi ed influenti era una necessità, oltre che un fatto di costume. Si può aggiungere che varie testimonianze attribuiscono a Ennio un tenore di vita volutamente modesto, addirittura povero nella sua semplicità, ed un atteggiamento di dignitosa indipendenza dai potenti amici;

-se il letterato aveva bisogno di patroni per potersi dedicare interamente alla poesia, libero da preoccupazioni economiche, gli aristocratici più aperti e disponibili a nuove esperienze intellettuali avevano bisogno della collaborazione di studiosi e artisti dotati di una solida preparazione linguistica, letteraria e filosofica, esperti conoscitori di quel vasto e affascinante mondo della cultura greca che i romani più colti desideravano non solo esplorare, ma anche assimilare ed acquisire, entro certi limiti, alla cultura latina.

-c’impedisce, infine, di considerare Ennio, in quanto autore di poesia elogiativa, una sorta di poeta-cortigiano, la sua sincera, convinta adesione alla romanità e ai suoi ideali: nei grandi condottieri che in quegli anni stavano attuando il programma di espansione del dominio romano nel mondo

Ginevra Lombardi III C