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La critica alla politica espansionistica e oppressiva di Israele è antisemitismo?

Il 29 novembre è stata pubblicata dal giornale inglese “The Guardian” una lettera scritta da 122 artisti e intellettuali palestinesi, e di altri paesi arabi; l’articolo tratta la definizione di antisemitismo ed esprime preoccupazione sull’uso che in Europa e negli Stati Uniti, governi e istituzioni ne fanno in occasione di ogni critica alle decisioni politiche di Israele. È importante trattare di questo tema in quanto poco trattato dai giornali e spesso utilizzato in maniera demagogica.

Queste figure del mondo intellettuale palestinese ribadiscono la stigmatizzazione e la condanna dell’antisemitismo risorgente in occidente; ritengono sbagliata però l’equazione:

critica alla politica espansionistica e oppressiva di Israele = antisemitismo.

Secondo gli autori della lettera la non distinzione tra critica delle politiche di Israele e antisemitismo, è fuorviante oltre che dannosa, infatti, rischia anche di oscurare la giusta lotta contro l’antisemitismo, che deve fondarsi su ben precisi principi.

Precedentemente a questa lettera ben 40 gruppi di ebrei sparsi per il mondo avevano espresso la loro opposizione alla strumentalizzazione di tale termine in occasione della controversa “legge sullo stato nazione solo per ebrei”. 

Nella lettera si sostiene che la legittima lotta contro l’antisemitismo sia sempre più spesso strumentalizzata per screditare i difensori dei diritti dei della Palestina e passare sotto silenzio la continua occupazione dei territori palestinesi; sono stati quindi elencati alcuni principi fondamentali che riporto testualmente:

  •         La lotta contro l’antisemitismo deve essere condotta nel quadro del diritto internazionale e dei diritti umani. Dovrebbe essere parte integrante della lotta contro tutte le forme di razzismo e xenofobia, compresi l’islamofobia e il razzismo anti-arabo e anti-palestinese. Lo scopo di questa lotta è garantire libertà ed emancipazione a tutte le categorie oppresse. Orientarlo verso la difesa di uno Stato oppressivo e rapace costituisce un profondo stravolgimento.
  •         Esiste un’enorme differenza tra una condizione in cui gli ebrei vengono individuati, oppressi e soppressi come minoranza da regimi o organizzazioni antisemite e una condizione in cui l’autodeterminazione di una popolazione ebraica in Palestina / Israele è stata realizzata sotto forma di uno Stato etnico esclusivista e territorialmente espansionista. Così come esiste attualmente, lo Stato di Israele è fondato sullo sradicamento della stragrande maggioranza dei nativi – quella che palestinesi e arabi chiamano Nakba – e sulla sottomissione dei nativi che vivono ancora nel territorio della Palestina storica come cittadini di seconda classe o come popolo sotto occupazione, deprivati del diritto all’autodeterminazione.
  •         La definizione di antisemitismo dell’IHRA e le relative misure legali adottate in diversi Paesi sono state utilizzate principalmente contro le organizzazioni di sinistra e quelle per i diritti umani che sostengono i diritti dei palestinesi e contro la campagna per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), mettendo da parte la reale minaccia per gli ebrei, proveniente dai movimenti nazionalisti bianchi di destra in Europa e negli Stati Uniti. La rappresentazione della campagna del BDS come antisemita è una grossolana distorsione di quello che è fondamentalmente un mezzo legittimo di lotta non violenta a favore dei diritti dei palestinesi.
  •         L’affermazione della definizione dell’IHRA secondo cui un esempio di antisemitismo è “Negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione, ad esempio affermando che l’esistenza di uno Stato di Israele è un’iniziativa razzista” è piuttosto strana. Non si preoccupa di riconoscere che, in base al diritto internazionale, l’attuale Stato di Israele costituisce una potenza occupante da oltre mezzo secolo, come riconosciuto dai governi dei Paesi in cui viene accolta la definizione dell’IHRA. Non si preoccupa di considerare se questo diritto includa il diritto di creare una maggioranza ebraica attraverso la pulizia etnica e se debba essere bilanciato in rapporto ai diritti del popolo palestinese. Inoltre, la definizione dell’IHRA potenzialmente scarta come antisemite tutte le visioni non sioniste del futuro dello Stato israeliano, come la difesa di uno Stato bi-nazionale o democratico laico che rappresenti allo stesso modo tutti i suoi cittadini. Un autentico sostegno al principio del diritto di un popolo all’autodeterminazione non può escludere la Nazione palestinese, né qualunque altra.
  •         Crediamo che nessun diritto all’autodeterminazione debba includere il diritto di sradicare un altro popolo e impedirgli di tornare nella sua terra, o qualsiasi altro mezzo per garantire una maggioranza demografica all’interno dello Stato. La rivendicazione da parte dei palestinesi del loro diritto al ritorno nella terra da cui loro stessi, i loro genitori e nonni sono stati espulsi non può essere interpretata come antisemita. Il fatto che una tale richiesta crei ansie tra gli israeliani non prova che essa sia ingiusta, né antisemita. È un diritto riconosciuto dal diritto internazionale come dichiarato nella risoluzione 194 del 1948 dell’assemblea generale delle Nazioni Unite.
  •         Rivolgere indistintamente l’accusa di antisemitismo contro chiunque consideri razzista l’attuale Stato di Israele, nonostante l’effettiva discriminazione istituzionale e costituzionale su cui si basa, equivale a garantire a Israele l’impunità assoluta. Israele può così deportare i suoi cittadini palestinesi, revocarne la cittadinanza o negare loro il diritto di voto, ed essere comunque immune dall’accusa di razzismo.

Purtroppo come ci insegna la psicologia e la storia spesso le violenze e i traumi subiti da persone e popolazioni oppresse rischiano di riprodurre altre violenze ed altri traumi, questa è la linea politica di Israele che sta passando alla storia da vittima a carnefice.

 

A cura di Nina De Blasi

 

Fonte immagine https://megachiroptera.com/sionismo/