Siamo davvero tutti uguali davanti al COVID-19?

 È ormai da circa un’anno che la nostra esistenza, poiché affetta dal noto “COVID 19”  non è più la stessa; sono quasi 365 i giorni in cui ci poniamo sempre la medesima domanda “quando finirà tutto questo? …

Ebbene sì, ciò che reca maggior rabbia e sofferenza all’essere umano è proprio l’incapacità di darsi una risposta a questo grande punto interrogativo.

Ricerche, studi, mascherine, tamponi, vaccini, eppure sembra di essere sempre allo stesso punto. Ci svegliamo ogni mattina nella speranza di ritornare a quella normalità che pare non giungere mai, trascorriamo giornate statiche e immutabili e nonostante tentiamo di nascondere questa sensazione di incompletezza siamo consapevoli che la nostra vita è cambiata radicalmente e che non va “tutto bene”.

Il lato peggiore di una pandemia è che ci illudiamo di essere tutti uguali di fronte a questa. Se è vero che la morte è come una livella tra gli essere umani, anche il COVID 19 dovrebbe metterci in una condizione di parità, invece sembra essere solamente  una luce d’emergenza, che ci segnala le fortissime diseguaglianze preesistenti al virus, le solite, alle quale siamo abituati, la differenza fra ricchi e poveri, fra chi possiede mezzi di sussistenza e chi no. Una cosa è certa, il contagio di questa malattia non ha utilizzato come filtro il degrado sociale ed ambientale.

Quando il virus ha continuato ad espandersi, per un certo periodo non tutti abbiamo avuto a disposizione mascherine, disinfettanti e guanti. Il mercato nero di tali prodotti li ha resi usufruibili solo da chi li comprava a peso d’oro o che grazie alle proprie conoscenze aveva dei canali privilegiati. Abbiamo assistito in effetti a truffe relative a camici, mascherine e tamponi che hanno gettato su insospettabili l’ombra della corruzione.Superata però l’emergenza, con la disponibilità di tali prodotti ci siamo sentiti, finalmente, tutti nelle medesime condizioni esistenziali. Ma successivamente è pervenuto il periodo del “State tutti a casa”. Questa è l’esortazione che ancora ogni giorno viene rivolta a ognuno di noi.

La pandemia è un fenomeno collettivo che investe intere comunità, dunque è più che giusto che ciascuno mostri il senso della responsabilità e rimanga a casa per non arrecare danni agli altri. Se il resto della popolazione farà lo stesso, cooperando e reciprocando si potrà ottenere l’obiettivo dello stop al contagio. Ma chi una cosa non c’è l’ha? Purtroppo uno degli aspetti più evidenti che il Covid-19 ci sta mostrando, è come gli effetti non solo diretti ma anche e soprattutto indiretti siano molto disparati rispetto alle condizioni iniziali socio-economiche dei soggetti ma anche dei vari settori produttivi. Difatti abbiamo constatato che il tutto dipende molto dalla sicurezza lavorativa di cui si gode. Stare a casa sembra più un privilegio per chi lavora presso un’azienda o un ente pubblico che si siano dotati di telelavoro (più l’eccezione che la regola) e per chi gode di un pò di risparmio accumulato e può quindi permettersi il lusso di non lavorare. Per il resto? Nel migliore dei casi ferie obbligatorie e congedi parentali retribuiti al 50%. Nel peggiore dei casi, pesanti riduzioni di reddito da lavoro.Alle diseguaglianze economiche si affrancano le diseguaglianze sociali e territoriali. Ne sono esempio le strutture scolastiche. A scuola chiusa sopperisce la didattica online, purtroppo però ampie fasce della popolazione non dispongono né della connessione di rete né di strumenti adeguati per accedervi. In aree già afflitte dalla povertà diffusa e divari sociali, la scuola, anche come edificio, rappresenta l’unica possibilità , non solo di scambio, ma anche di promozione di eguaglianza sostanziale. Nella prassi non necessariamente ciò si manifesta e sappiamo bene come le condizioni reddituali e culturali delle famiglie sono la variabile che più influisce sull’effettivo conseguimento dei risultati scolastici e del percorso di studio. Tuttavia, la didattica online pone un ulteriore disparità tecnologica-infrastrutturale che si innesta sui divari sociali, territoriali ed economici.

Per di più, nella nuova crisi del Covid-19, non tutte le imprese e i settori produttivi reagiscono indistintamente. Il terziario del consumo sociale è pesantemente danneggiato dalle misure di distanziamento, basti pensare ad un bar, ad un ristorante o semplicemente ad una piccola attività commerciale. A perdere sono anche il settore del trasporto e dello spettacolo. C’è però anche chi vince, come le piattaforme digitali che permettono di fare web meeting. L’indice del prezzo azionario di Zoom, la piattaforma ad oggi più utilizzata per i meeting a distanza, ha registrato una variazione in aumento del 67%.

Dunque non è vero che siamo “tutti sulla stessa barca”, semplicemente siamo travolti dalla stessa ondata di mare.

È ponderoso rammentare che oltre al virus, ci sono altri nemici a cui far fronte. Problematiche che in una situazione di emergenza, come quella da COVID 19, diventano invisibili, procurando però danni ben visibili. Uno tra questi è la povertà. Riguardo alla povertà se ne parla poco, e uno di cui temi che restano fuori dal radar, specie se riguarda realtà lontane come quella africana. Per il 2020 la banca mondiale ha stimato ben 100 milioni di nuovi poveri, 50 milioni di questi in Africa. Il popolo africano rischia di entrare in recessione dopo 25 anni di crescita, la produzione agricola si stima calerà fino al 7%.

Povertà e malattia sono legate, chi è povero è più vulnerabile e allo stesso tempo non può investire in prevenzione. Di conseguenza è più a rischio di ammalarsi e se si ammala non ha risorse, né tempo da investire per curarsi, dato che deve comunque lavorare. Ecco quindi che si innesca un circolo vizioso: la trappola della povertà, che rende estremamente difficile contrastare epidemie globali come quella attuale. Quello che si è rilevato è stato proprio che sono diminuiti in maniera evidente i livelli minimi di sussistenza.

 

I dati aggiornati al 1 ottobre 2020 mostrano che l’epidemia in Africa procede lentamente, con un calo dei nuovi casi in alcuni Paesi e colpendo ancora in particolare otto Paesi (Sud Africa, Egitto, Marocco, Etiopia, Nigeria, Algeria, Ghana e Kenya).

La direzione dell’implementazione del PHSM in Africa è stata mista, con alcuni Paesi che hanno consentito il ritorno a scuola e nei luoghi di culto ed altri che hanno inasprito le misure per contrastare il numero crescente di nuovi casi. L’Ufficio della Regione africana dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riportato tutte le misure di contenimento intraprese attualmente. 24 Paesi in totale stanno applicando misure di lockdown. Di questi, 13 su tutto il territorio e 11 solo su aree a trasmissione epidemica, mentre ben 8 nazioni hanno iniziato a rimuovere le misure di lockdown.

Il Malawi, ad esempio, è uno dei paesi più poveri al mondo. A metà aprile, l’Alta Corte ha vietato al Governo di attuare il lockdown come forma preventiva per far fronte all’attuale emergenza COVID-19. Questo perché, se nei paesi ricchi a causa dell’ emergenza si sta sperimentando una delle peggiori crisi economiche della storia, nelle aree del mondo più povere e vulnerabili il rischio è che l’impatto economico del lockdown possa essere devastante e che non porti agli effetti sperati, ma solo ad un’ulteriore collasso dei precari sistemi sanitari e ad un peggioramento della situazione economica.

In Ghana le misure di lockdown sono state attivate fin dai primi casi, ma l’epidemia è stata rilevante anche se con un tasso di letalità contenuto (0,6%). In Zimbabwe e nella Repubblica Democratica del Congo l’epidemia di COVID-19 non ha fatto altro che mettere in evidenzia un sistema sanitario già di per se fragile e inefficiente. Al fine di appiattire la curva dei contagi, alcuni governi africani hanno difatti imposto rigorose misure di distanziamento fisico per ridurre la trasmissione del virus negli ospedali.

Bisogna inoltre considerare che un gran numero di pazienti africani con HIV e tubercolosi dipendono da servizi sanitari funzionali, e se l’accesso al trattamento viene ridotto o interrotto a causa del COVID-19, le conseguenze sulla salute individuale e pubblica possono essere sostanziali. Ad esempio in Etiopia, come in molti altri Paesi africani, COVID-19 è “tra” le epidemie del Paese, insieme a colera, morbillo e malaria. La situazione ovviamente si aggrava considerando che la fornitura di servizi di immunizzazione da parte di altri paesi è stata sostanzialmente bloccata dall’epidemia di COVID-19.

Una cosa è certa; l’Africa ha bisogno di rafforzare i suoi sistemi sanitari e di ridurre le continue emergenze a cui deve far fronte. La politica sia allora lungimirante, sempre: riparta dalle Costituzioni, non abbassi mai la guardia dinanzi ai principi della democrazia e lotti, lotti quotidianamente per la rimozione di ostacoli che ledono la dignità umana. Perché siamo tutti diversi, eppure siamo tutti umani e, dunque, tutti umanamente uguali

Francesca Cassaniti III C