Razzismo “alternativo”: storie dal mondo

Questa è la prima definizione di razzismo che troviamo con una semplice ricerca su internet del termine “razzismo: “Ogni tendenza, psicologica o politica, suscettibile di assurgere a teoria o di esser legittimata dalla legge, che, fondandosi sulla presunta superiorità di una razza sulle altre o su di un’altra, favorisca o determini discriminazioni sociali o addirittura genocidio.”
È questo che ci viene in mente quando ne sentiamo parlare sui libri di storia o in televisione, assieme alle immagini di violenza fisica che fanno parte dei racconti e delle descrizioni di fatti recenti che avvengono nel mondo ogni giorno.
Quindi, spesso la prima cosa a cui pensiamo quando viene nominato il razzismo è il rifiuto che alcuni individui o popoli rivolgono a persone di colore o comunque di “diversa razza”. Un esempio concreto di razzismo su base culturale è storicamente l’abominio chiamato “Olocausto” avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale nei confronti degli ebrei da parte della Germania nazista e dal fascismo in Italia.

Da sempre esistono eventi terribili di presunta “superiorità razziale” nei confronti di persone
con un colore di pelle diverso da coloro che li discriminano, come avvenuto con lo schiavismo e contro gli Indiani nativi in America del Nord da parte della popolazione anglosassone. E tutto questo purtroppo non è solo nel passato ma fino ad oggi, a seguito di eventi terrificanti come quelli commessi negli Stati Uniti da diversi agenti di polizia che sono arrivati a “reazioni eccessive” e senza ragione dinnanzi a persone di colore arrivando a provocarne la morte in molti casi. E’ a causa di fatti come questi che abbiamo assistito nel 2020 alla nascita del movimento “Black Lives Matter” contro questo tipo di violenze e da quel momento il mondo si è concentrato particolarmente su questo genere di razzismo purtroppo “ordinario”, trascurando però ciò che succede al di fuori di questo punto di vista.
Guardando meglio, infatti, purtroppo il colore della pelle non è l’unica cosa a venir giudicata e discriminata ma vi sono molte altre forme di rifiuto e di violenza che non sono fisiche ma che causano molta sofferenza comunque e che riguardano, ad esempio, le differenze “fisiche” (come la conformazione del viso, la forma degli occhi o del naso che possono essere di natura razziale o genetica), le diversità culturali (come la religione, il paese di nascita, il modo di vestire o di mangiare). Ed è così che ci accorgiamo che anche delle forme di razzismo che in Italia o in Europa non sono molto comuni, come per esempio il razzismo contro gli asiatici, in altri Paesi invece provocano fatti gravissimi e qui abbiamo alcuni esempi:
RAI NEWS: “Sono otto le donne morte, quattro delle quali asiatiche, e si sospetta appunto che si tratti di un crimine dettato dall’odio razziale. Le vittime sono state uccise in tre diverse sparatorie in due spa e un salone di massaggi a circa 30 miglia a nord-ovest del centro di Atlanta. “https://www.rainews.it/dl/rainews/media/Usa-tre-sparatorie-in-centri-benessere-ad-Atlanta-otto- donne-morte.
“Una donna asiatica di 65 anni è stata picchiata da uno sconosciuto mentre camminava a
Manhattan. L’aggressione è stata ripresa da una telecamera di sicurezza di un bar. Le immagini mostrano la donna spintonata a terra da un uomo afro-americano e presa a calci. Nessuna delle persone che erano vicino è intervenuta, compresi i clienti del locale da cui sono state riprese le immagini. Non sono intervenuti neppure i vigilantes che erano all’ingresso del bar e che, anzi, hanno chiuso la porta a vetri del locale per tenersi ancora più a distanza dall’accaduto.” https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/usa-donna-asiatica-americana-aggredita-centro-new-york-
Si deve, inoltre, tener conto anche di quegli eventi di razzismo che non ricorrono per forza alla violenza fisica ma che sono violenti e discriminanti ugualmente e non per questo motivo possono essere trascurati o, peggio, considerati “normali” e “tollerabili”. Esistono infatti delle tipologie di discriminazioni razziali particolarmente subdole, che ritroviamo nei luoghi più abituali della nostra società, e per questo allo stesso tempo più importanti, come i canali di informazione e comunicazione che tutti seguono ogni giorno, cioè i social, la radio, la televisione, la politica, persino la famiglia purtroppo a volte. Luoghi dove tutti usano molto spesso le parole per creare rabbia, rifiuto, ironia e altre forme di violenza nascosta ma accettata da tutti e che possiamo chiamare: “razzismo alternativo”.
Questo tipo di razzismo alternativo magari non riguarda solo la razza delle persone ma anche la povertà, le scelte di genere, le disabilità, la cultura o i cambiamenti del di modo di pensare che i giovani nati da famiglie straniere e che le loro famiglie non accettano.
Ma tornando al significato di razzismo come discriminazione di provenienza etnica e rifiuto culturale, un esempio molto recente che è arrivato alle notizie di cronaca, è quello che riguarda i commenti apparentemente ironici ma palesemente razzisti lanciati dal conduttore radiofonico tedesco Matthias Matuschik nei confronti del gruppo musicale coreano BTS quando, all’uscita della loro cover del brano “Fix You” dei Coldplay, il dj tedesco, volendo esprimere il suo personale disappunto a riguardo, giudica la loro versione della canzone: “blasfema” e il gruppo stesso come “un virus schifoso per il quale si spera presto arriverà un vaccino”, riferendosi così volutamente alla pandemia causata dal virus Covid-19 che tutti detestiamo e vogliamo combattere. Il conduttore, dopo essere stato criticato per la gravità delle sue parole, ha cercato di “chiarire” di “non avere niente contro la Corea del Sud, poiché, a dir suo, possiede la migliore auto in circolazione che, a quanto pare, proviene proprio da lì, ma ha concluso consigliando una “vacanza in Corea del Nord per i prossimi vent’anni” ai 7 giovani cantanti sud-coreani dei BTS. Ovviamente accusato di razzismo e xenofobia, il conduttore si ègiustificato spiegando il suo intento ironico.
Non è il solo episodio di discriminazione culturale che viene intesa come “normale” e “giustificabile” che ha visto come vittime proprio i componenti dello stesso gruppo asiatico. Sul social TikTok, per esempio, sta facendo il giro del mondo, coinvolgendo anche tutti gli altri social, il video che ritrae un ragazzo pronunciare alcune parole che hanno sollevato un polverone mediatico. Il ragazzo in questione, durante una live su tiktok, alla domanda “Che cosa ne pensi dei BTS e del K-pop in generale?” risponde tranquillamente: “Hai presente l’olocausto? Dovrebbero farlo più in grande per i coreani”.
Come è chiaro in questo caso in particolare, il rifiuto e la discriminazione culturale non solo diventa aggressiva e rabbiosa ma si allarga fino a coinvolgere tutto il popolo coreano e questo è un fatto sicuramente molto grave che però trova tanto consenso di gente divertita sui social e nessuno se ne occupa con serietà. In risposta a questi eventi di razzismo e a quelli subiti dalle altre persone discriminate, il gruppo dei BTS non ha avuto altro modo che rispondere manifestando il proprio dispiacere e il coraggio di non farsi colpire ma anzi, con la volontà di fare un passo avanti seppur amareggiati per l’accaduto.
Ora tutto questo deve farci pensare a quanto di questa forma “alternativa” di violenza razzista noi accettiamo ogni giorno perché ci passa sotto gli occhi frequentemente come una battuta ironica fatta da un dj o da un politico ma anche su altri temi nei commenti dei social, nelle risposte di compagni e amici o su come la moda ci dice che dobbiamo pensare in positivo o in negativo. E quello che dovrebbe farci riflettere è che tutto questo nasce dalla mancanza di volontà di conoscere, dalla incapacità di accettare un altro perché è diverso da noi ed è magari troppo complicato capire meglio chi è, come pensa e quello che sente dentro quando noi gli facciamo una “battuta ironica” e non lo vediamo per come è nella sua realtà e nella sua vita.

Margherita Amata, III C