I MURI PARLANTI DELLA STREET ART

Ci sono muri che dividono e muri che parlano: quelli della street art. Messaggi e immagini realizzati con le bombolette spray che catturano lo sguardo. 

Gli autori, nella maggior parte dei casi, restano sconosciuti per anni: lasciano un “tag”, una sorta di firma, vicino alle loro opere. Non cercano la ribalta, entrano in azione con veri e propri blitz. Ci sono muri che cambiano volto nel corso di una notte. Per i proprietari di case e palazzi, un brutto risveglio. Per i passanti, l’emozione di partecipare a una mostra a cielo aperto, a costo zero. 

Ma come è nato questo fenomeno? Sono state soprattutto le metropoli lo scenario dove la street art ha trovato terreno fertile. Dagli Stati Uniti l’onda creativa ha rapidamente raggiunto Londra, Parigi, Milano, le grandi città della Germania.    

Le motivazioni che spingono giovani artisti urbani a intraprendere questo percorso possono essere molto varie. Per alcuni è una forma di critica verso la proprietà privata: un modo per riappropriarsi di strade e piazze, per mettere la propria firma su pezzi di città. Per altri è più semplicemente un modo per esporre la propria creatività, senza i vincoli di gallerie e musei, una maniera per autopromuoversi e produrre opere in piena autonomia. L’arte di strada offre infatti la possibilità di avere un pubblico vastissimo, spesso molto maggiore di quello che può offrire una tradizionale galleria d’arte.

C’è chi è riuscito a diventare artista di culto passando dalla strada ai musei. Emblematico il caso di Banksy, misterioso artista attivo già a Londra nei primi anni 2000, attraverso l’allora poco conosciuta pratica della guerrilla art: i suoi stencil a spray sono diventati immagini iconiche. Comunicano tematiche sociali quali la necessità di libertà d’espressione, il pacifismo, il rispetto delle libertà individuali. 

I blitz di Banksy sono diventati fin da subito dei fenomeni mediatici. E virali, anche grazie alla diffusione dei cellulari e il sempre più facile accesso a internet. Il suo tipo di arte ha evidenti legami con la pop art, il graffitismo e il mondo fuori dagli schemi del punk. Le sue creazioni, nate sui muri, sono state riprodotte su magliette, oggetti di uso comune. Gli originali vengono battute all’asta a cifre iperboliche. E in un caso, diventato celebre, si autodistruggono sotto lo sguardo di attoniti spettatori: un meccanismo nascosto dentro l’opera si mette in moto e divora ciò che era stato acquistato per milioni di sterline o dollari. Una provocazione estrema per ricordare che l’arte può diventare business, ma resta soprattutto espressione libera del pensiero. 

Le sue radici sono popolari. C’è stata una generazione di artisti che si metteva all’opera quasi esclusivamente in strada e utilizzava luoghi pubblici per le proprie performance. Personaggi fuori dagli schemi scrivevano sui muri o utilizzavano colla e carta già negli anni ’50 e ’60. La contestazione studentesca del ’68 è stata fucina di altri artisti di strada. Verso gli anni ’80 emerge un nuovo fenomeno: i messaggi diventano politicamente meno impegnati e si fa strada il motto “art pour l’art”. La tecnica dello stencil, per esempio, passa di mano: non più soluzione ideale valida per slogan e loghi a sfondo politico o sociale, ma tecnica rapida per eseguire i propri disegni. 

La città o la metropoli diventa così una grande galleria artistica che può dare grande visibilità, a costo quasi zero. Parigi è uno dei cuori pulsanti di questo fenomeno. E anche nelle città della costa orientale degli Stati Uniti si mettono in mostra artisti capaci di attirare l’attenzione del pubblico e della critica: tra questi, spiccano Keith Haring e Jean-Michel Basquiat. 

L’arte urbana italiana ha toccato l’apice nei primi anni duemila, con le tre scuole che si sono sviluppate a Milano, Bologna e Roma. Creazioni che dal muro, grazie a internet e ai social, prendono il volo e raggiungono in pochi istanti migliaia, a volte milioni di persone. 

 

Di Alice Scala, 4^BL