The social dilemma 

La tecnologia è un bene o un male? L’intelligenza artificiale (AI) salverà il genere umano o ci farà sprofondare sempre più in basso, sostituendo, di fatto, l’uomo? I social media sono strumenti fondamentali per connetterci con il mondo o sono strumenti che crediamo essere fondamentali? Se pensiamo che questi temi e queste domande non siano importanti per noi, allora non siamo minimamente informati sull’argomento. 

“The social dilemma” è un film documentario molto particolare, che tratta il tema della tecnologia legato ai social media, social network, intelligenza artificiale che vanno ad unirsi alle tecniche di persuasione e monetizzazione che le grandi multinazionali tech utilizzano per fare più utili ed espandersi sino a conquistare il mondo. Alcuni pensano che sia esagerato usare l’espressione “conquisteranno il mondo”, invece sono le parole più appropriate per descrivere ciò che sta succedendo. Anzitutto, facciamo chiarezza sulla differenza tra social network e social media: espressioni che esprimono concetti molto diversi, che, spesso, vengono confusi.

Un social media è “un gruppo di applicazioni basate sul web e costruite su paradigmi tecnologici e ideologici del web 2.0 che permettono la creazione e lo scambio di contenuti generati dagli utenti”. Queste sono le parole del professor Kaplan, preside della facoltà di business presso ESCP di Parigi e Berlino e specializzato nell’area del mondo digitale, in particolar modo, riguardo ai social media.

I social network, invece, rappresentano un reticolo di persone unite fra loro da interessi di varia natura, le quali decidono, conseguentemente, di creare una community, gruppi o organizzazioni. Alcuni social network più usati dagli utenti sono Facebook, Twitter, Instagram, Tiktok… Nel documentario “the social dilemma” gli stessi ragazzi, creatori di questi social e anche di Google, Pinterest si sono fatti avanti per raccontare il processo di monetizzazione che è moralmente sbagliato dietro alle brillanti innovazioni tecnologiche del nostro secolo. “Se non stai pagando per il prodotto allora il prodotto sei tu”. Chi penserebbe che Facebook, Instagram, Tiktok, applicazioni gratis in cui tutti gli utenti possono registrarsi gratuitamente, fatturano decine di miliardi di dollari l’anno oppure, come anche Google, che la maggior parte delle persone pensa sia un semplice motore di ricerca, fatturi quasi 80 miliardi di dollari l’anno? Le grandi aziende tecnologiche guadagnano grazie alle immense montagne di dati degli utenti che raccolgono ogni secondo sulle loro piattaforme, che poi sfruttano con la pubblicità targettizzata, monetizzando il più possibile. Il social inoltre sono i più potenti mezzi di comunicazione della storia: Facebook conta quasi 3 miliardi di utenti, Instagram altrettanti. Possono e stanno modificando la società cosi lentamente che quasi non ce ne accorgiamo. Anzi, non ce ne accorgiamo minimante. Io non ci avrei mai prestato attenzione se gli stessi sviluppatori di queste piattaforme non lo avessero fatto notare.

I social network sono fondamentali per tutte le aziende per vendere e sponsorizzare i loro prodotti, per l’informazione, che, talvolta, prevede valanghe e valanghe di fake news, e addirittura sono fondamentali per la politica: quante elezioni sono state vinte negli ultimi dieci anni grazie alla propaganda tramite i social network in giro per il mondo?

La tecnologia, dunque, è il male supremo? I fondatori delle grandi aziende tech del pianeta sono persone malvagie? Certo che no. La tecnologia è sviluppo, progresso senza il quale non si potrebbe progredire. Bisognerebbe solo porre delle regole alle grandi multinazionali. Bisognerebbe pensare di più allo sviluppo sostenibile del mondo e al progresso, più che al mero profitto economico. Non che ci sia nulla di sbagliato nel voler guadagnare denaro: ciò che è sbagliato è come si guadagna denaro. Tutti gli sviluppatori e programmatori che si sono fatti avanti raccontando le loro esperienze nel documentario “the social dilemma” sono estremamente positivi per il futuro e per il mondo. “È solo necessaria maggiore attenzione”, Tristan Harris.

 

 

Di Francesco Scarpino Cheli, 2I