Žižek e il politicamente (s)corretto

Parolacce per diventare amici? Il pensiero di grande filosofo contemporaneo ci dimostra che è possibile.

 

Slavoj Žižek, filosofo e politologo sloveno, è uno dei più grandi pensatori del nostro tempo, noto per il suo alto numero di pubblicazioni, edite in Italia da Ponte delle Grazie e le conferenze sul web in cui tratta di temi inerenti alla teoria politica e alle problematiche sociali.

La sua grande personalità e il suo umorismo, che portano leggerezza nei suoi discorsi anche quando i temi risultano complessi e delicati, uniti a idee assolutamente originali, rendono il pensatore sloveno un vero punto di riferimento per riflessioni critiche sull’oggi e su come lo si vive. 

Uno dei temi su cui Žižek si è spesso espresso è il “politicamente corretto”, quell’atteggiamento sociale di estrema attenzione al rispetto formale e a rifuggire l’offesa verso determinate categorie di persone, che potrebbero sentirsi discriminate per ragioni di religione, genere o etnia. 

Per Žižek invece il politicamente corretto non rappresenta un modo di superare il razzismo e la discriminazione ma solamente una forma di autodisciplina, di autolimitazione, di autocastrazione che non permette però di sviluppare rapporti umani aperti e sinceri con l’altro e una vera e propria etica dell’uguaglianza: “si tratta solo di razzismo represso e controllato.”

Nell’atteggiamento di chi sceglie attentamente le parole per non offendere “gli altri”, si rivela la presenza costante di un privilegio che continua a differenziare i due soggetti. Un Io superiore e tollerante che deve tutelare il diverso, più debole. 

La battuta e lo scherzo abbassano la problematica della diversità allontanandola dalla serietà e dalla freddezza del politicamente corretto, in cui ogni cosa acquista un’aura di sacralità e di intoccabilità che rende l’altro ancora più altro e lo distingue dalla folla.

Si tratta quindi di “chiamare le cose con il loro nome. Proprio come il nipotino di tre anni di un amico di famiglia che, di ritorno dal suo primo giorno di asilo, dice eccitato ai suoi genitori: – Ho un nuovo amico! E’ tutto marrone!-“ 

Žižek e il suo approccio diretto e brutalmente onesto su religione, genere ed etnie, ci fanno interrogare su quanto applicare pedissequamente e acriticamente il modello del politicamente corretto finisce per sortire l’effetto opposto, portandoci in una dimensione di ipocrisia e falsità, che non solo non combatte il pregiudizio ma in qualche modo lo riproduce. Il vero politicamente corretto dovrebbe nascere da una reale empatia, vicinanza e comprensione dell’altro che non ci porti semplicemente a tollerarlo, ma piuttosto a conoscerlo realmente e rispettarlo nella sua unicità. Žižek racconta per esempio di come utilizzi quello che lui chiama “dirty joke”, ossia la battuta sporca, uno scherzare volgare ed esplicito, per rompere il ghiaccio con sconosciuti o avvicinarsi nei rapporti esistenti. 

Il gioco e lo scherzo, osare con i termini o perfino dire parolacce diventa possibile quando non vi sia nell’intenzione un giudizio di qualsiasi tipo, e ciò avvicina e porta il dialogo su un piano familiare e autentico. 

E dunque la parolaccia fa davvero fare amicizia?

Žižek non ci esorta davvero a iniziare la conoscenza con qualcuno con una parolaccia ma a riflettere su quanto essere diretti e sinceri potrebbe risparmiarci inutili formalità e il rischio di risultare, con una pratica indiscriminata del politicamente corretto, comunque involontariamente offensivi.

Di Pietro Muolo
Traduzione di Pietro Muolo

 

Žižek and (un)correct politics

Swearing to become friends? The thoughts of a great contemporary philosopher show us that it is possible.

Slavoj Žižek, Slovenian philosopher and political scientist, is one of the greatest thinkers of our time, known for his large number of publications, published in Italy by Ponte delle Grazie, and his web conferences in which he discusses topics related to political theory and social issues.

His great personality and his humour, which bring lightness to his speeches even when the topics are complex and delicate, combined with absolutely original ideas, make the Slovenian thinker a true point of reference for critical reflections on today and how we live it. 

One of the topics on which Žižek has often expressed himself is “political correctness”, that social attitude of extreme attention to formal respect and avoidance of offence towards certain categories of people who might feel discriminated against, for reasons of religion, gender or ethnicity. 

For Žižek, on the other hand, political correctness does not represent a way of overcoming racism and discrimination, but only a form of self-discipline, self-limitation and self-castration that does not, however, allow for the development of open and sincere human relations with others and a true ethic of equality: “it is only oppressed and controlled racism.

In the attitude of those who carefully choose their words so as not to offend ‘others’, the constant presence of a privilege that continues to differentiate the two subjects is revealed. A superior and tolerant ego that must protect the different, weaker one. 

The joke and the jest lower the problem of diversity, distancing it from the seriousness and coldness of political correctness, in which everything acquires an aura of sacredness and untouchability that makes the other even more other and distinguishes him from the crowd.

It is therefore a question of “calling things by their name. Just like a family friend’s three-year-old nephew who, back from his first day of kindergarten, excitedly told his parents: -I have a new friend! He’s all brown!-“ 

Žižek and his direct and brutally honest approach to religion, gender and ethnicity make us wonder how slavishly and uncritically applying the model of political correctness ends up having the opposite effect, taking us into a dimension of hypocrisy and falsehood, which not only does not combat prejudice but somehow reproduces it. True political correctness should be born from a real empathy, closeness and understanding of the other that does not lead us simply to tolerate him, but rather to really know and respect him in his uniqueness. Žižek tells, for example, how he uses what he calls “dirty joke”, a vulgar and explicit joke, to break the ice with strangers or to get closer in existing relationships. 

Playfulness and joking, daring with terms or even swearing, becomes possible when there is no judgement of any kind in the intention, and this brings the dialogue closer and on a familiar and authentic level. 

So does swearing really make friends?

Žižek does not really urge us to begin our acquaintance with someone by swearing, but to reflect on how being direct and sincere could save us from unnecessary formalities and the risk of being, with an indiscriminate practice of political correctness, unintentionally offensive anyway.