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Continuano le violenze in Myanmar – Inutili le proteste dei cittadini e impotenti le istituzioni internazionali

Dopo l’esplosione dei contagi in India e la ripresa degli scontri sulla striscia di Gaza la situazione politica in Myanmar è passata in secondo piano e anche i telegiornali hanno smesso di darne notizia.

Proprio ieri il bilancio delle vittime ha superato quota 800 (802) dall’inizio delle proteste, come riporta l’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici (Aapp).

Purtroppo la zona rimane calda, sebbene non come prima, e i militari non smettono di sparare sulla folla, mentre il popolo non si arrende alla dittatura di Than Shwe.

Le Nazioni Unite si sono da tempo espresse in merito e chiedono di rispettare il voto del popolo, così come anche Papa Francesco, che ha invitato a pregare perché cessi questa escalation di violenze.

Nonostante ciò però è saltato l’incontro di ieri all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per approvare una risoluzione che impedisca qualsiasi trasferimento di armi alla Birmania. Fonti del Palazzo di Vetro di New York hanno evidenziato ai media che, per mancanza di un appoggio sufficiente, l’approvazione della risoluzione è posticipato “a tempo indeterminato”.

La proposta è partita dal Liechtenstein e aveva ricevuto l’appoggio di 48 paesi, tra cui l’Unione Europea, il Regno Unito e degli Stati Uniti, ma solo una nazione asiatica, cioè la Corea del Sud. Ancora una volta gli interessi economici stanno prevalendo sui diritti umani e si evidenzia l’impossibilità di un’azione tempestiva degli organismi internazionali poiché nella realtà dei fatti non c’è unità di intenti dei membri partecipanti.

Per quanto riguarda la leader della Lega Nazionale Democratica, Aung San Suu Ky la situazione è immodificata e continua ad essere trattenuta in carcere.

Lorenzo Francesco Aulisa 3C