L’importanza della donna

L’IMPORTANZA DELLA DONNA
Perché parlare del ruolo della donna all’interno della nostra società? Perché rimarcare il suo valore? Perché ad oggi in purtroppo è necessario sensibilizzare una società che alle sue radici conserva ancora un certo astio e allo stesso tempo una certa indifferenza nei confronti della figura della donna. Ancora oggi la donna deve combattere per ottenere i propri diritti, che di per sé dovrebbero spettarle, ancora oggi vive in una società in cui la disparità di genere è all’ordine del giorno, ancora oggi è vittima di violenza. Sensibilizzare, parlare, affrontare tutto questo è l’unico modo per riuscire a vincere i pregiudizi e gli stereotipi che hanno sempre caratterizzato la donna, solo così riuscirà ad ottenere la propria identità. La celebrazione della Giornata della donna nacque negli Stati Uniti e si diffuse in Europa con il fine di ricordare sia eventi positivi che negativi. L’otto marzo, infatti, tornano alla memoria sia le conquiste sociali e politiche delle donne, che le discriminazioni e le violenze. In molti affermano che questa giornata sia una festa, ma sbagliano poiché l’obiettivo non è quello di essere una festività bensì di avere la funzione di ricordo, motivazione e riflessione su eventi passati, presenti e futuri. Furono molte le cause che spinsero le donne a rivendicare i propri diritti. L’evento Fondamentale da ricordare è il VII Congresso della II Internazionale socialista, organizzazione fondata nel 1889 a Parigi dai partiti socialisti e laburisti, che si svolse a Stoccarda nel 1907 e nel quale si discusse riguardo al colonialismo e alla questione del voto delle donne. Il Congresso votò per la lotta dei partiti socialisti per l’introduzione del suffragio universale delle donne, ma senza allearsi con le femministe borghesi. Per questo motivo nel 1908 la socialista Corinne Brown Afferma che il Congresso non avrebbe dovuto scegliere al posto delle donne socialiste come e con chi lavorare per la propria liberazione. Il 3 maggio 1908 la Brown presiedette la conferenza chiamata ‘Woman’s Day’, durante la quale si parlò dello sfruttamento, delle discriminazioni sessuali, delle ingiustizie e del diritto di voto delle donne. Il Partito socialista americano decise di dedicare l’ultima domenica di febbraio del 1909 all’organizzazione di una manifestazione per il voto alle donne, occasione che divenne la prima giornata delle donne. Alcuni paesi d’Europa appoggiarono le decisioni prese negli Stati Uniti e decisero di celebrare la giornata dedicata alla donna. Nei decenni successivi il movimento in difesa delle donne si è espanso e rafforzato, proclamando varie giornate dedicate alla rivendicazione dei diritti femminili. La prima volta in cui i movimenti femministi di tutto il mondo manifestarono nello stesso giorno fu l’8 marzo 1975.Per molto tempo, a causa dei numerosi eventi verificatisi nella prima metà del XX secolo, le origini della giornata della donna vennero confuse. La teoria più comune, che si diffonde ancora oggi, afferma che l’8 marzo simboleggia la morte di centinaia di operaie nell’incendio di una inesistente fabbrica di camicie, avvenuto nel 1908 a New York, facendo confusione con un episodio realmente accaduto: l’incendio della fabbrica Triangle, nella quale morirono 146 lavoratori. Secondo altre versioni, l’8 marzo ricorda la violenta repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili o vari incidenti avvenuti sempre negli Stati Uniti.

Ma perché l’8 marzo ha come simbolo la mimosa? Ci sono diversi motivi che hanno influito sulla scelta di questa pianta per celebrare la giornata. In particolare, i suoi fiori caratterizzati da un giallo vivace sbocciano al termine del clima rigido e piovoso invernale, annunciando la primavera. Metaforicamente, quindi, la mimosa rappresenta una sorta di rinascita. Bisogna anche ricordare che la scelta di utilizzare questa pianta venne condizionata anche dal fatto che sbocciasse nel periodo giusto che fosse molto economica, nonché reperibile. Oggi è consuetudine omaggiare l’8 marzo regalando alle donne la mimosa. Molte tra loro però’ non accettano di buon grado tale dono sostenendo che la donna con le sue virtù’ e con i suoi diritti, va ricordata quotidianamente.

CONDIZIONE DELLA DONNA IN CAMPO LAVORATIVO
L’importanza del ruolo della donna nel mondo del lavoro sembra un fatto ormai pacificamente riconosciuto. Numerosi sono invero gli studi che dimostrano come il ruolo femminile, sia in ambito lavorativo, sia in ambito economico, finanziario e sociale, abbia un impatto significativo sullo sviluppo e sulla crescita di un Paese. In Italia l’impianto normativo esistente sembra garantire una sostanziale parità giuridica per quanto riguarda le regole di accesso al lavoro unitamente alle regole di svolgimento dello stesso e le novelle si muovono da tempo in un’ottica di progressiva eliminazione delle discriminazioni fondate sul genere e di adozione di sempre maggiori tutele. A cominciare dalla Carta Costituzionale, sono tante e dettagliate le disposizioni legislative a tutela dell’uguaglianza di genere, a cominciare dall’art. 3 che vieta le discriminazioni di sesso, passando per l’art. 4 che riconosce il diritto di tutti i cittadini al lavoro e promuove le condizioni che lo rendono effettivo. Tutti i cittadini hanno il dovere, secondo il proprio potenziale e le proprie scelte individuali, di svolgere un’attività o una funzione che contribuisca alla crescita materiale o spirituale della società. Concetti ribaditi peraltro nel Codice delle pari opportunità tra uomini e donne e nello Statuto dei Lavoratori. Le norme, da sole, non sono tuttavia sufficienti a garantire una concreta ed effettiva situazione di pari opportunità e di pari trattamento. Da lungo tempo si combatte infatti contro le disparità tuttora riscontrabili nella pratica e contro il fenomeno della scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Disparità sovente riscontrabili in quei contesti ove, a parità di tutele normative, permangono notevoli differenze tra uomini e donne a livello di prospettive di carriera, di qualificazione professionale, di formazione imprenditoriale, di parità di retribuzione. Tali disparità consentono, purtroppo, di affermare che il cammino sinora percorso è stato contrassegnato da numerosi successi, ma che la strada da percorrere è ancora lunga. Occorre quindi adottare ulteriori, nuovi e diversi strumenti per superare, nei fatti, effettive disuguaglianze.
Tra le questioni su cui intervenire, si evidenziano, inoltre, la compartimentazione per genere del mercato occupazionale e la pari opportunità di accesso ai ruoli rappresentativi e apicali in favore delle donne. Sembra potersi affermare che, all’origine di tale compartimentazione, vi siano anzitutto stereotipi culturali, purtroppo ben radicati, che incidono tuttora sull’atteggiamento adottato nei confronti del lavoro femminile. Stereotipi che riducono, senza dubbio, le potenzialità del sistema economico con conseguente sottoutilizzo del lavoro femminile in termini, sia quantitativi, sia qualitativi. In questa direzione occorre proseguire nelle azioni di sensibilizzazione. E ciò a partire dalla scuola, incoraggiando sempre più donne ad intraprendere studi in materie scientifiche e/o in ambiti tradizionalmente appannaggio dell’altro genere. Si potrebbe poi ripensare a come rafforzare il sostegno alle aziende che promuovono la leadership femminile attraverso meccanismi premiali che prevedano o potenzino eventuali benefici, riconoscimenti, incentivi fiscali dedicati, ed utilizzare ogni altro mezzo che possa ritenersi idoneo a promuovere una “cultura” del lavoro e dell’impresa più consapevole, responsabile e sensibile alle tematiche di genere. Si osserva poi che il rischio di espulsione dal mondo del lavoro non riguarda solo le lavoratrici dipendenti; tante lavoratrici autonome in caso di malattia, infortunio e soprattutto di gravidanza rischiano di compromettere in maniera spesso non reversibile i propri percorsi professionali. Ciò che occorre è senz’altro una politica che stimoli l’informazione e la stampa a tenere sistematicamente conto della parità di genere, ma occorre anche indirizzare l’attenzione sull’istruzione perché si inizi, fin dalla più giovane età, un percorso educativo fondato sulla parità, al fine di eliminare gli stereotipi e determinare così una vera e propria modifica culturale. I rigidi ruoli di genere possono infatti ostacolare le scelte individuali e limitare il potenziale delle future donne e dei futuri uomini. L’ineguaglianza rappresenta, infatti, un peso per un’economia che ambisce ad essere sostenibile e solidale e che intende conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. Il potenziale e i talenti delle donne devono essere utilizzati più largamente e più efficacemente.

FEMMINICIDIO
Secondo l’Accademia della Crusca il termine femminicidio consiste nel “provocare la morte di una donna, bambina o adulta, da parte del proprio compagno, marito, padre o di un uomo qualsiasi, in conseguenza del mancato assoggettamento fisico o psicologico della vittima“ . Nel 2013 il Parlamento italiano ha approvato le “disposizioni urgenti per il contrasto della violenza di genere” previste dal cosiddetto decreto anti-femminicidio; da alcuni anni infatti tale violenza costituisce un elemento di misurazione statistica anche in Italia e pertanto alla fine di due indagini condotte dall’ISTAT nel 2006 e 2014 sono emersi importanti dati. secondo la più recente, quella del 2014, risulta che: nel corso della loro vita 6 milioni e 788 mila donne tra i 16 e i 70; quasi una su tre riferiscono di aver subìto una qualche forma di violenza fisica o sessuale, da parte prevalentemente ( 2 milioni e 800 mila donne ) dei propri partner o ex. Il 37,6% di queste ha riportato ferite, lividi contusioni o altre lesioni. Circa il 20% è stata ricoverata in ospedale a seguito delle ferite riportate e più di 1/5 di quest’ultime ha riportato danni permanenti. La quota di straniere che dichiara di aver subìto violenze è praticamente identica a quella delle donne italiane ( 31,3% vs 31,5% ) tuttavia le prime mostrano più elevati livelli di denuncia rispetto alle seconde ( 17,1% vs 11,4% ). Nell’anno 2019 le donne italiane vittime di omicidio volontario sono state 111 di cui l’88.9 % uccise da una persona conosciuta, nello specifico il 49.5% dal partner attuale, l’11.7% da quello precedente, il 22.5% da un familiare e solo il 4.5% da un conoscente ( amico di parenti o amici), nel 2018 sono state 133, nel 2020 invece si è registrato un calo generale passando da 161 omicidi a 131 tuttavia per quanto riguarda il numero di vittime di sesso femminile assistiamo però ad un aumento, da 56 a 59, particolarmente nel mese di gennaio. Secondo i dati comunque si può affermare che l’incidenza degli omicidi di donne in Italia sia contenuta in rapporto europeo, tra i 24 Paesi dell’Unione Europea infatti si osservano valori inferiori solo nel caso di: Paesi Bassi, Polonia, Irlanda e Croazia. Sempre nel 2020 poi l’istituto di statistica sulla criminalità e gli omicidi in Italia, ha segnato oltre che l’inizio di un evento tragico che passerà alla storia, ovverosia quello della pandemia e del lockdown globale, si, un abbassamento del numero di omicidi ma al contrario anche, l’aumento di quello dei femminicidi: nel primo semestre 2020 gli assassini di donne sono stati pari al 45% del totale degli omicidi, contro il 35% dei primi sei mesi del 2019 e hanno raggiunto addirittura il 50% durante il lockdown nei mesi di marzo e aprile ma l’elemento più preoccupante è che il 90% delle vittime sono state uccise in ambito affettivo e familiare o da partner e ex. Il lockdown ha fortemente modificato i profili di rischio del fenomeno, aumentando quello nei rapporti di convivenza e riducendolo negli altri casi, in valori assoluti dallo stesso periodo dell’anno precedente al 2020 il numero di femminicidi familiari con vittime conviventi sale del 10.2% mentre contestualmente scende del 27.8% quello delle vittime non conviventi

COSA INTENDIAMO CON LA PAROLA DONNA?
È donna soltanto chi possiede organi genitali femminili? O è giusto anche includere nella categoria chi nasce in un corpo da uomo che non sente suo? Anche se ci troviamo nel 2021, in una società che ormai di passi in avanti ne ha compiuti molti, in un’epoca che dovrebbe essere garante della libertà per ogni singolo individuo, è all’ordine del giorno la discriminazione diretta contro le donne transgender.
Secondo le parole di coloro che si schierano nelle file dei transfobici, è impensabile ritenere che il genere si performi, si faccia e permane ancora una stretta presa con la visone assunta dalla nostra società, dalla nostra cultura e dalla nostra giurisdizione, plasmata attraverso una lente binaria.
“Donna non si nasce, lo si diventa”, queste le parole di De Beauvoir, parole che potrebbero essere usate contro le più sedicenti rivoluzionarie della lotta femminista che pur combattendo contro le differenze di genere, rivolgono le loro armi contro il mondo trans. Il Motto di queste integraliste che si battono fervidamente per l’esclusione dei trans nella lotta femminista prende il nome di TERF (Trans Exclusionary Radical Feminist). La piega coerente presa da queste conservatrici è massima, loro che si battono per raggiungere eguaglianza, usando l’arma dell’amore e non della violenza, sono le prime a discriminare e a ritenere che “a tutto c’è un limite”. Sono queste concezioni che invocano ed esortano a una violenza che non si esaurisce esclusivamente alla violenza verbale ma sfocia anche in quella fisica.

Un’analisi comparativa del sondaggio LGBT dell’UE dimostra che le persone trans subiscono frequenti violazioni dei loro diritti fondamentali: discriminazione, violenza e molestie, tutte a un livello maggiore rispetto agli altri intervistati lesbiche, gay o bisessuali. Questo è causa di sentimenti di paura, o porta le persone trans a nascondere la propria identità. «Come transgender, ritengo fondamentale che i responsabili politici e gli operatori sanitari si rendono conto che lo spettro di genere comprende più che semplicemente i due estremi. Nel Mezzo possono esserci varie sfumature che dovrebbero consentire alle persone di vivere una vita soddisfacente, senza identificarsi con l’uno o l’altro estremo dello spettro, ovvero con un’immagine completa di uomo o di donna. È necessaria più comprensione, ma soprattutto sono necessari più risorse e sostegno giuridico per consentire a noi trans di vivere la nostra vita come le altre persone». Così si esprime una donna donna trans di 28 anni dei Paesi Bassi, che ci invita a riflettere su quanto venga sofferta la costante discriminazione e non riconoscimento di pari diritti per tutte coloro che non si identificano nel genere assegnato alla loro nascita. Ancor più sbagliato è ritenere che possano esserci delle “opinioni” in merito al cambio di genere, fatto che non dovrebbe essere motivo di discussione o di concordanza o meno. Dovrebbe essere ormai sdoganata la visione del cambio di genere come un’evasione dalla normalità che può essere sottoposto a un giudizio che sia negativo o positivo. Allora pensiamo, è forse il fatto di possedere una vagina o un utero o avere delle mestruazioni a fare di noi delle “vere” donne?

Teresa Middei 4C, Viola Papetti 4E,
Lucilla Piantadosi 4C, Vittoria Maiolo 4C,
Chiara Lopresti 4C