In quel bar

Un paese sperduto.

Una stradina, contornata dal verde degli alberi e dai vivaci colori delle siepi stracolme di fiori, lì c’era un bar.

Il nome scritto in vetrina, la porta dipinta di verde, le pareti fatte di spezie e ceste di gomitoli di lana in giro.

Su una parete, una libreria colma di romanzi.

In un angolo le cucine, che ricordavano quelle di vecchie abitazioni nelle campagne inglesi.

Era un bar con le tazzine rosse e le sedie di legno dipinte di blu.

In quel bar, quasi sempre vuoto, il barista sfornava pietanze e preparava drink dal sapore esotico.

Dalla vetrina, si poteva scorgere una chioma scompigliata, che sorseggiava un caffè con aria assorta.

Una ragazza.

Quel caffè le donava la calma di cui aveva bisogno.

Lei: una persona continuamente sopraffatta dalle paranoie che con un sorso di quel caffè riusciva a trovare la pace.

Quella ragazza era come una tempesta, la sua mente era l’occhio del ciclone e il suo cuore era un deserto privo di un qualsiasi tipo di oasi.

Aveva gli occhi solcati dalla mancanza di sonno, non dormiva per i troppi pensieri che le si invischiavano in mente ogni notte.

Bevendo quel caffè lei tornava a sorridere.

In quel bar trovava la pace.

Quella ragazza, tutto il mondo avrebbe dovuto conoscerla.

Quella ragazza, che sorseggiava il caffè in quel bar con le tazzine rosse e le sedie blu, è morta.

È morta in pace, con la mente libera da ogni pensiero distruttivo.

Nel giorno della sua morte quella ragazza finalmente tornò a vivere.

di Beatrice Longhi