Boris Romanchenko: l’uomo che combatté fino alla fine

In uno di questi terribili giorni di guerra, in cui sono in corso i bombardamenti russi che stanno stravolgendo l’Ucraina, un edificio a più piani, collocato nell’area residenziale di  Saltivka, a Kharkiv, è stato colpito da una granata. Un uomo anziano,  Boris Romanchenko, viveva in questo edificio da ormai trent’anni, in  solitudine. All’avvenire dell’esplosione non si è lasciato condurre da sua  nipote Yulia fuori dal suo appartamento, anche per le sue molteplici  difficoltà, soprattutto nel camminare e nell’udire. Boris aveva ben 96  anni quando la morte lo ha colto nel suo letto. Il tragico avvenimento è  stato annunciato dalla Fondazione dei Lager di Buchenwald e di  Mittelbau-Dora, scioccata dalla vicenda. Con queste parole la nipote  Yulia racconta i momenti passati con il nonno: “Mi raccontava spesso della guerra alla quale era scampato. Aveva tenuto  un diario, chissà se lo ritroveremo. Mi ha insegnato tutto, lo andavo a trovare sempre durante le vacanze. Abitava in  quel palazzo da trent’anni, da solo. Ho provato a convincerlo a venire via, ma non ha voluto. Ormai era sordo e faceva  fatica a camminare”. 

Boris Romanchenko è stato uno dei pochi sopravvissuti e testimoni rimasti degli avvenimenti accaduti durante la  tragica seconda guerra mondiale e nei terribili campi di concentramento, ad esempio in Germania e in Polonia,  istituiti dal regime nazista, capitanato da Hitler. Boris Romanchenko nasce il 20 gennaio del 1926 a Bondari, vicino a  Sumy, a Nord di Kharkiv. Nel 1942, all’età di 16 anni, fu catturato dai soldati tedeschi e fu deportato nel campo di  concentramento di Dortmund, collocato in Germania. Lì fu sottomesso e costretto ai lavori forzati. Aveva provato a  fuggire, ma con scarsi risultati; infatti fallì nell’impresa e nell’ottobre del 1943 fu catturato nuovamente e deportato,  questa volta, nel campo di concentramento di Buchenwald, anche questo collocato in Germania. In seguito, Boris fu  trasferito anche nei campi di Bergen-Belsen, di Mittelbau-Dora e di Peenemünde, più precisamente fu assegnato a  lavorare nell’Istituto di ricerca dell’esercito. Qui fu costretto a impegnarsi per aiutare i soldati tedeschi nella  costruzione di missili balistici V2, ampiamente utilizzati dall’esercito nazista, nel corso della seconda guerra mondiale  contro la Gran Bretagna e il Belgio. Fece il suo ritorno in Ucraina dopo aver prestato servizio, per molti anni,  all’esercito dell’Unione sovietica in Germania dell’Est.  

Boris aveva un triangolo rosso, che lo identificava come prigioniero politico, cucito sulla sua uniforme, il “pigiama a  righe”, caratterizzata dalle classiche righe bianche e blu, indossata da tutti coloro che erano stati deportati nei  numerosi campi di concentramento. Era infatti considerato dai tedeschi una minaccia nell’ambito politico, essendo un  “comunista” di origine sovietica. Come abbiamo visto per  il triangolo rosso, abbiamo altri simboli e colori che  adoperarono i tedeschi per poter distinguere i numerosi  prigionieri all’interno dei campi di concentramento, ad  

esempio la stella di Davide gialla, che caratterizzava  l’uniforme degli ebrei, principali bersagli delle  persecuzioni naziste, la stella di Davide gialla e rossa,  cucita su quella degli ebrei politici, il triangolo marrone, che caratterizzava quella dei rom e dei sinti, ovvero gli  zingari, il triangolo rosa, che era cucito su quella degli  omosessuali, il triangolo viola, che caratterizzava quella dei  Testimoni di Geova, un movimento religioso cristiano e il triangolo nero, cucito su quella degli “asociali”, ovvero i  vagabondi, i malati mentali e tutti coloro che erano ritenuti un’influenza negativa sulle idee e sui valori in cui le  famiglie tedesche credevano, tutti coloro che potevano rovinare quella “perfezione” che il regime nazista di Hitler  tanto cercava.  

Yulia voleva provvedere alla sepoltura del nonno, anche in mancanza di denaro. Il Comune si è dimostrato disponibile  nell’esaudire il desiderio della ragazza, anche se sarà necessario aspettare che la guerra giunga al termine per agire.  Yulia racconta che durante la sua infanzia era solita ad andare a trovare il nonno Boris quando le vacanze erano alle  porte e che era stato proprio lui ad averle insegnato a leggere e a scrivere; le raccontava anche le sue esperienze che  aveva vissuto affrontando la guerra. Secondo la ragazza Boris aveva anche scritto e conservato un diario, che però non  è stato ritrovato.  

«Aveva tenuto un diario, chissà se lo ritroveremo.» 

Boris Romanchenko, dopo essere tornato in Ucraina, diventò il vicepresidente del Comitato internazionale  Buchenwald-Dora e si era in seguito dedicato alla memoria dei crimini del nazionalsocialismo, ovvero un’ideologia  tedesca che portò all’estremo razzismo contro gli ebrei, di cui abbiamo potuto vedere le conseguenze durante la  seconda guerra mondiale. Boris riuscì a mettere a disposizione aiuto per le numerose vittime della persecuzione  nazista. Inoltre ha partecipato a molte commemorazioni della Shoah e delle persecuzioni naziste. Boris ha continuato  a combattere ed è stato ricordato a lungo fino ai nostri giorni per aver letto il giuramento dei sopravvissuti di  Buchenwald nel 2012: 

«Costruire un nuovo mondo di pace e libertà è il nostro ideale!»

Francesca Barile, II Q