Cittadinanza, le origini

Con cittadinanza si intende la condizione di appartenenza di un individuo a uno Stato, con i diritti e i doveri che tale relazione comporta. 

La questione di cittadinanza nacque con le poleis greche a partire dal IX secolo a.C., nello scenario di un vuoto di sovranità e di un imponente fenomeno di migrazioni e colonizzazioni ,in cui, per la prima volta, la figura del cittadino venne definita, senza riferimento ad un’amministrazione già istituita, ma secondo gli scopi di una comunità politica autonoma. Sulla base di questo fenomeno, Aristotele, da scienziato, si rese conto di quanto i cittadini dipendessero dal potere esercitato dalla città, realizzando una prima forma di governo che prese il nome di politeuma, la sua costituzione chiamata politeia e le prerogative sul campo pubblico della polis spettanti a ciascun polites, ossia cittadini.   Atene, nel corso dei secoli, visse sotto vari regimi che esercitarono un differente pensiero sul tema di cittadinanza poiché, come sottolineò Aristotele, «non tutti si accordano nel riconoscere le stesse persone come cittadini: infatti chi lo è in una democrazia spesso non lo è in un’oligarchia>>.  Inoltre apprestare servizio militare per difendere la propria patria era dovere di ciascun polites.  Tuttavia non a  tutti gli abitanti di Atene fu concessa la cittadinanza: furono esclusi le donne, gli schiavi e gli stranieri, però la loro presenza e la loro integrazione nella vita sociale furono discusse all’interno della democrazia, in maniera purtroppo non proficua. In realtà, il conflitto riguardò anche quei soggetti, a cui spettò la cittadinanza, ma non fu mai concesso loro di entrare a far parte della struttura politica della polis poiché essa fu strutturata in ceti sociali; per cui solo chi fece parte dei piani alti della gerarchia sociale potette valersi di una forma di potere. Per tanto, tale omissione sociale e politica diede vita al concetto di isonomia, che si batteva sulla concezione di pari diritti a tutti gli abitanti, che tuttavia portò solamente alla fine del regime.

 Invece, nell’Antica Roma, essa fu vista come forma di tutela giuridica che assicurò davanti a magistrati e funzionari il riconoscimento di una serie di diritti e garanzie di cui gli stranieri furono appunto del tutto privi. Fu considerato cittadino a pieno titolo l’uomo adulto romano, che  acquistava la cittadinanza  in base alla discendenza o con la concessione della libertà. Inoltre, l’imperatore Romano Claudio tentò più volte con i suoi discorsi di concedere pari diritti alle popolazioni annesse al suolo romano, giudicando l’inferiorità data agli stranieri da parte della città di Atene come la sua rovina, tuttavia sia il senato che il popolo gli si opposero, temendo una riduzione delle proprie concessioni. Ad ogni modo l’espansione della cittadinanza divenne uno strumento di controllo politico e di necessità a causa dello scoppio di varie tensioni e di conflitti all’interno delle varie provincie. Furono emanate numerose leggi quali la lex plautia papiria, grazie alla quale gli abitanti dei territori a sud del Po divennero cittadini a tutti gli effetti, e la Lex Roscia, che  riconosceva la cittadinanza romana con pieni diritti agli abitanti della Gallia Cisalpina, che nell’89 a.C. avevano già ricevuto la cittadinanza latina grazie alla Lex Pompeia de Transpadanis. Molte colonie latine si trasformarono in municipi romani, favorendo l’urbanizzazione. Infine, con l’abolizione della provincia della Gallia Cisalpina nel 42 a.C., tutti gli italici divennero cittadini romani di pari livello.

Il rapporto tra giovani ed adulti è uno dei temi maggiormente trattati, partendo anche dal confronto tra figli e genitori. I primi spesso e volentieri sono considerati come dei trasgressori, i cui unici interessi si volgono al divertimento e alla goliardia, mettendo in secondo piano i propri doveri, in modo particolare la scuola. D’altra parte i genitori sono visti come delle figure autoritarie oppressive che di solito mettono in secondo piano i bisogni e le esigenze dei propri figli. 

Questo contrasto inizia a verificarsi durante l’adolescenza poiché i giovani iniziano a fare le prime esperienze ed è duro per i genitori accettare questo cambiamento e la consapevolezza che i propri figli possano prendere delle decisioni autonomamente e che non necessitano più della loro costante protezione. 

Questo fenomeno ha sicuramente delle cause. Dal punto di vista psicologico nel rapporto madre- figlia si interpone il complesso di Elettra, mentre nel rapporto padre-figlio si frappone il complesso di Edipo. 

Secondo le leggende antiche, la figlia di Agamennone e Clitemnestra, Elettra uccise la madre per punirla della colpa di aver tradito e ucciso il marito, dopo che questi aveva immolato un’altra delle sue figlie a causa delle previsioni di un oracolo. Pertanto il padre vedendo la figlia più debole cerca di proteggerla, mentre la madre non riesce ad accettare i suoi cambiamenti fisici e comportamentali poiché vede in lei quello che era in passato ed ora non è più. Per quanto riguarda il complesso di Edipo, il mito narra che Edipo era figlio dei sovrani di Tebe e che un oracolo aveva predetto che egli avrebbe ucciso il padre e si sarebbe unito alla madre. Dunque questi lo abbandonarono e fu ritrovato da un pastore di Corinto. Diventato adulto, giunse a Tebe ed erroneamente uccise il vero padre. Dopo aver vinto ad un indovinello, divenne il nuovo re di Tebe e sposò la sua vera madre con cui ebbe 4 figli. Viene a conoscenza della verità in seguito ad una pestilenza e si rivolge ad un oracolo per farla cessare. Deve uccidere l’assassino di Laio, il vecchio re, pertanto si acceca ed è esiliato dai figli, a cui rivolge un sortilegio, ovvero che si sarebbero uccisi a vicenda. Si spartiscono il regno e ad anni alterni si dovevano contendere la sovranità. Tuttavia arrivano ad uno scontro ed entrambi muoiono. La madre li vuole seppellire però Edipo le dà il consenso solo di seppellire uno dei due. Disobbedisce ed è murata viva. Dunque si spiega la maturazione del bambino attraverso l’identificazione col genitore del proprio sesso e il desiderio nei confronti del genitore del sesso opposto.

Un’altra causa di questo scontro è l’uso in alcuni casi ossessivo dei social network da parte degli adolescenti i quali non sentendosi capiti dai propri genitori parlano in rete delle proprie frustrazioni. Gli adulti ritengono che in questo modo i giovani brucino la loro gioventù considerando la rete un posto nocivo e poco sicuro ed è quasi impossibile trovare un punto di incontro: entrambi vogliono far prevalere la propria opinione. Inoltre i genitori non riescono a capire i nuovi modi di pensare e di comportarsi degli adolescenti perché sono diversi rispetto ai canoni presenti nella società ai loro tempi. Spesso commettono l’errore di sminuire i problemi dei ragazzi prestando poca attenzione alle loro parole. 

Un aspetto su cui ci si potrebbe lavorare molto è l’ascolto, perché spesso i grandi si limitano a dare sentenze senza prestare attenzione ai problemi dei propri figli. 

Ad ogni modo, gli adolescenti potrebbero imparare da figure più grandi, poiché le loro parole e consigli permettono di affrontare al meglio i problemi avendoli anche loro vissuti in prima persona.

 

Mariafrancesca Dionisio, III C