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“Io sono colei che mi si crede”, Pirandello e la ricerca della verità

“Noi chi siamo?” è il dilemma pirandelliano, ma anche la domanda che si pongono ogni giorno milioni di persone, tra bambini che sognano di essere astronauti, giovani che scelgono cosa fare dopo il liceo, alla ricerca di quello di cui si occuperanno nella vita, ma anche adulti, anziani, che si guardano allo specchio domandandosi se le loro
scelte siano state giuste.
“E la verità? Qual è la verità?”. Dalla sua origine, l’uomo si pone tale quesito. Cerca una risposta nella religione, nella politica, nell’arte. Alla fine la trova? Forse.
Il problema sorge nel momento in cui la mia verità non coincide con la tua. Perché io sono così sicura, fino a che tu non vieni qui e smonti da capo a piedi la mia tesi? Eppure sembrava così chiaro, la verità doveva per forza essere quella!
Il “Così è (o mi pare)” di Elio Germano, recentemente “andato in scena” al Teatro Nuovo di Napoli, ripropone il classico di Pirandello in chiave moderna, a partire dalla  forma di esibizione: attraverso la realtà digitale, lo spettatore assiste allo spettacolo come personaggio, sedendo nel salotto di casa Laudisi e ascoltando le surreali conversazioni di familiari e amici.
Ma di cosa parla “Così è (o mi pare)”?
Nel lussuoso appartamento della famiglia Laudisi c’è bufera: i nuovi arrivati in paese destano non pochi sospetti, in particolare tra persone un po’ annoiate dell’alta borghesia. E allora perché non indagare? Chiamati i rinforzi, tra prefetti, amici e parenti, oltre che gli stessi malcapitati, comincia l’isterica ricerca della tanto bramata verità, senza il supporto del signor Laudisi, che se la ride, consapevole del fatto che la verità ricercata affannosamente dai parenti, quella assoluta, è introvabile.
La chiave moderna scelta da Germano per la rappresentazione dello spettacolo pone l’uomo al centro, “così è, come pare a me”, si tratta della mia idea, perciò è vera. L’ambientazione temporale interna allo spettacolo è coerente con la realtà dello spettatore, a cui è fatto indossare un visore tridimensionale per entrare proprio in casa Laudisi. La visione a distanza può essere attribuita ad un desiderio artistico, ma, in materia pratica, si tratta di una scelta “covid-friendly”, poiché lo spettacolo, andato in scena in pieno periodo di covid, è in grado, così, di garantire il distanziamento sociale e la sicurezza degli attori, che, da remoto, hanno la possibilità di mandare in scena il proprio spettacolo.
Si tratta di un nuovo modo di fare teatro? Si spera di no, eppure, in questo periodo, sembra una valida soluzione.

Mariavittoria Grieco, III C