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Parole di vetro, di rabbia, di pioggia – La mia biblioteca di parole nascoste 

Fahrenheit 451 è la temperatura a cui i libri prendono fuoco. 

Ma i libri non sono stati bruciati solo nell’omonimo romanzo di Ray Bradbury.

Nel corso della storia, più volte i libri sono stati considerati nocivi, pericolosi, pieni di idee e pensieri malsani e per questo bruciati, nascosti, sottoposti alla censura

Alcuni sono giunti fino a noi attraverso la memoria di quanti hanno scelto di nasconderli al sicuro tra i loro pensieri, lì dove nessuno sarebbe mai andato a cercarli. 

Così hanno fatto gli amici di Anna Achmatova sotto lo stalinismo: hanno mandato a memoria tutte le poesie dell’autrice per proteggerle dalle crudeltà del regime. 

Hanno fatto così anche gli aedi e i rapsodi, tramandando oralmente le migliaia di versi dell’Iliade e dell’Odissea in un tempo in cui la scrittura non esisteva; o gli intellettuali sotto l’impero di Shi Huangdi, che aveva ordinato la distruzione di tutti i libri per poter cancellare la storia precedente a lui.

Scrittura e memoria si sono sempre salvate a vicenda quando l’uomo ha cercato di annientarle. 

In questa settimana nazionale dedicata alla lettura e ai libri, abbiamo riflettuto sulle parole di Irene Vallejo, importante scrittrice e filologa spagnola,  secondo la quale anche noi lettori portiamo nel cuore piccole biblioteche clandestine, celate e segrete. 

Così noi studenti della 2A ci siamo riuniti in biblioteca insieme alla nostra prof.ssa Mariella Di Brigida e abbiamo pensato e soprattutto cercato tutte quelle parole che hanno segnato la nostra vita, tra il dolce profumo delle pagine e il rincorrersi di voci sussurrate. 

Abbiamo scritto le nostre parole clandestine, le parole che hanno lasciato il segno, quelle nascoste tra le pareti intime dell’anima e protette da leoni e filo spinato. 

Quel genere di parole che ci costringono a fare i conti con noi stessi, ogni giorno, sempre.

Parole accumulate e racchiuse in scrigni preziosi o su fogli sparsi e lasciati volare col pensiero.

Le mie sono parole mai dette, immaginate, lasciate in sospeso. Sono tutti i “ti voglio bene” mai pronunciati per paura della risposta o tutte quelle frasi che avrei voluto dire, ma rimaste senza voce perché fuori luogo, inappropriate, sbagliate. 

Sono parole ricamate su pagine colorate e protette tra le rigide copertine dei libri. 

“Memoria”, “istante”, “tempesta”, “colore”, “occhi”, “libertà”. 

Sono tutte quelle parole che, seppur brevi, hanno lasciato il segno, a volte più di quanto avrebbero dovuto. 

Parole che mettono paura, perché significano qualcosa di troppo grande, qualcosa difficile da affrontare, qualcosa di difficile da accettare.

Come la parola “buio”, che continuava ad echeggiare nella stanza una volta spenta la luce, quando ero piccola e il terrore del mostro nell’armadio rendeva impossibile il sonno.

C’è anche la parola “futuro”, che porta sempre con sé quel senso di eccitante angoscia. Chissà perché la parola “futuro” lascia sempre un po’ storditi e confusi, come quando si guarda un quadro ancora bianco.

Anche la parola “fallimento” è tra queste, perché a volte sbagliare terrorizza a tal punto da lasciarci pietrificati, senza più aria nei polmoni.

Porto con me anche parole che fanno bene al cuore, custodite con la massima cura per paura che possano rovinarsi.

Sono decisamente tra le mie preferite, perché strappano un sorriso genuino anche quando sembra impossibile persino respirare.

 La più bella è forse “mamma”, che per me rappresenta da sempre un porto sicuro a cui approdare, quando fuori infuria la tempesta.

Poi c’è “Natale” e tutti i suoi mille ricordi luccicanti, come le piccole lampadine incastonate tra i rami degli alberi; o “arte”, che mi affascina ogni giorno in tutta la sua meraviglia.

Dolce è anche il sapore della parola “vetro”, perchè mi ricorda quando da piccola amavo guardare il mondo attraverso i bicchieri colorati della nonna.

Un posto speciale c’è per “pioggia”, che con le sue gocce cristalline lava il mondo dal male; o per “girasole”, che è da sempre il mio fiore preferito e il soprannome con cui mi chiamavano i miei genitori quando ero bambina.

Incise sul cuore porto anche tutte quelle frasi che hanno continuato a danzare nella testa. Sono passati mesi, a volte anni; eppure sono rimaste lì, come compagne fedeli, pronte a guidarmi lungo l’enigmatico sentiero della vita. 

Sono spesso frasi di canzoni, troppo importanti o troppo intime per poter essere dimenticate, lasciate andare come se non contassero nulla.

“Hai scambiato un ruolo da comparsa in guerra, per un ruolo da protagonista in gabbia?”.

O frasi tratte dai libri che mi hanno cambiato la vita e che hanno lasciato un vuoto incolmabile dopo l’ultima pagina.

 “Non devi pensare che io sia infelice, non lo sarò mai più”.

A mio modo, come gli amici di Achmatova, i poeti greci e gli uomini di lettere cinesi, le conservo tutte gelosamente nella mia biblioteca clandestina, fatta da tutte le parole che hanno lasciato il segno. 

 

Alessandra Masciantonio