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Countdown: il TEDxVasto sbarca al Polo Liceale Mattioli per parlare di crisi climatica 

Foto di Chiara Antenucci, Sara Prencipe e Ilaria Sputore

Countdown, conto alla rovescia: il tempo utile per agire per fermare la crisi climatica diminuisce ogni giorno di più, e questo lo sappiamo tutti. Ne parlano i giornali, se ne dibatte in tv, i politici di tutto il mondo, chi cercando di adoperarsi attivamente, chi meno, ne discutono in vertici e forum. La crisi climatica, imprescindibile dalla crisi economica e da un paio d’anni anche da quella sanitaria, dovrebbe essere tra i primi punti delle agende di ogni Stato. Ma molto spesso, quando più si ha bisogno di azioni concrete, immediate ed efficaci, l’impegno rimane solo sulla carta, o si disperde a parole, invece di ascoltare gli uomini e le donne di scienza con i loro dati, le loro previsioni e le loro proposte.  

E così, Countdown è stato il titolo del quarto appuntamento del TEDxVasto, l’evento che da due anni ospita a Vasto nomi importanti a livello nazionale e non solo, rendendo la città un think tank di idee, con punti di vista da ogni campo per convergere il sapere nell’unico obiettivo di lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato. Dopo il successo dei primi tre eventi, sabato 17 dicembre TEDxVasto è sbarcato al Polo Liceale “Raffaele Mattioli”, con il partenariato sostenuto dalla dirigente Maria Grazia Angelini, coinvolgendo e intrattenendo più di 400 ascoltatori tra studenti delle quarte e delle quinte e il pubblico esterno. 

Sulle note del pianoforte suonate da Emanuele Santoro, studente del Liceo Musicale, e con, sullo sfondo, immagini e video del nostro pianeta in crisi e in via di distruzione, piegato dalla crisi climatica, tra iceberg alla deriva, ghiacciai sciolti e foreste in fiamme, si è dato il via all’evento, con la presentazione da parte di Matteo Fiore e dell’ideatore di TEDxVasto, Paride Rossi, dell’importanza dei TEDx in tutto il mondo per la diffusione di idee e valori grazie a talk di massimo 18 minuti di speaker esperti. 

Ad aprire gli interventi è stato il biologo e professore associato in biologia applicata presso l’Università d’Annunzio Mirko Pesce, che ha incentrato il suo discorso sul rapporto tra crisi climatica e dieta. Infatti, negli ultimi cinquant’anni, a fronte di un aumento della qualità della vita, a causa dei crescenti e sempre più evidenti problemi ambientali, si stanno riscontrando delle preoccupanti carenze nelle diete, con da una parte, un aumento dell’obesità nei Paesi occidentali, e dall’altra problemi di malnutrizione nei Paesi più poveri.  

Il professor Pesce ha spiegato come, nel 2019, 37 membri provenienti da 16 Paesi di tutto il mondo si sono incontrati per mettere su una dieta ottimale, la EAT-lancet reference diet, che, se messa in pratica, potrebbe evitare 11 milioni di morti prematura all’anno e, a livello ambientale, la perdita di biodiversità. Infatti, le piante e gli animali di cui ci cibiamo hanno, come noi, un fenotipo e un genotipo che permettono loro di adattarsi all’ambiente, e migliore è questo adattamento, migliore è anche la nostra dieta.

Ma la perdita di biodiversità e la crisi climatica hanno ridotto questa capacità, generando problemi non solo su scala globale (danneggiando Paesi che basano la loro dieta su legumi e cereali, che, ad esempio, a causa della siccità, presentano deficit di micro e macronutrienti, soprattutto di vitamine idrosolubili, fondamentali per una dieta equilibrata), ma anche a livello territoriale: basta pensare all’ulivo, che solo quest’anno, con un maggio molto caldo e un settembre privo di precipitazioni, ha portato a una riduzione del 30% del raccolto e a un olio con più acidi saturi, come quello palmitico e stearico, e meno acidi insaturi, come quello oleico, che instaura nell’organismo un meccanismo di protezione contro l’insorgenza dei tumori. E questo, ha concluso Pesce, è solo un esempio di come siamo tutti connessi grazie alla memoria epigenetica e un danno a una parte dell’ecosistema in realtà danneggia tutti noi.  

Dalla biologia il focus si è poi spostato verso l’ingegneria chimica, grazie all’intervento dell’ingegnere Rossella Di Virgilio, che ha riflettuto sullo stigma che gran parte della popolazione ha nei confronti della plastica, a causa di campagne di informazione e di sensibilizzazione che presentano la plastica come un male assoluto e come la principale responsabile della crisi climatica che stiamo vivendo. Dati alla mano, Di Virgilio ha spiegato come ogni anno vengono prodotti 8 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica (anche se plastica è un termine generico per indicare tanti materiali, polimeri, derivati dal petrolio), dovuti alla straordinaria versatilità e all’economicità della plastica, che le permette di essere usata per produrre fibre tessili, arredi, imballaggi, articoli sportivi, oggetti di tutti i giorni, oltre che per l’uso rivoluzionario nel campo biomedicale, permettendo a tutti di accedere a beni prima esclusivi.  

Quando però si parla dell’impatto che la plastica ha sull’ambiente, bisogna considerare tutte le fasi del ciclo di vita del prodotto (produzione delle materie prime, produzione del prodotto finito, distribuzione, uso, fine vita): poiché tutte le materie plastiche sono tecnicamente riciclabili, è proprio l’eliminazione dell’ultima parte, il fine vita, che permetterebbe di ridurre notevolmente le emissioni, grazie al riciclo, che a sua volta porterebbe a una minore produzione iniziale.

L’ingegnere ha poi demistificato l’idea che l’eliminazione degli imballaggi in plastica, tanto demonizzati, ridurrebbe l’emissione di CO2, per due motivi: la sostituzione degli attuali imballaggi con altri materiali, che siano essi il vetro, l’alluminio o materiali ibridi, raddoppierebbe, se non triplicherebbe, le emissioni, essendo la plastica un materiale molto più resistente e duraturo; e, essendo la plastica soprattutto usata per imballaggi alimentari, bisogna sottolineare come, ad esempio, le emissioni della carne imballata in plastica sono dovute per il 90% dalla produzione della carne (è qui che bisognerebbe puntare) e solo per il 10% dall’imballaggio. Questo a dimostrazione che il pianeta può convivere con la plastica se la si usa in modo corretto: la plastica ha tanti benefici, l’obiettivo è, però, trasformare il sistema attuale prevalentemente lineare della plastica in un sistema circolare.  

Dalla scienza ci si è poi spostati verso l’attuazione concreta di buone pratiche, con l’intervento del dottore commercialista Lino Gentile, al quarto mandato da sindaco di Castel del Giudice, comune di poco più di 300 abitanti in provincia di Isernia. Comune che, come tantissimi altri in Italia, negli ultimi anni ha riscontrato sempre più il problema dello spopolamento, a cui però l’amministrazione comunale ha risposto con una serie di iniziative per invertire la rotta, sperimentando un nuovo sistema economico democratico e partecipato. Secondo Gentile, infatti, per attirare nuovi abitanti, creando nuovi posti di lavoro, bisogna rileggere il territorio con occhi diversi, sfruttando il tanto patrimonio non utilizzato e non intaccato.  

E così, a Castel del Giudice, la scuola chiusa è diventata una RSA con un modello di gestione di public company, con 25 cittadini soci imprenditori; 50 ettari di terreni in disuso, intatti a livello ambientale, sono diventati meleti biologici; altri terreni sono stati usati per la produzione di orzo e luppolo, creando un birrificio agricolo; da 32 stalle inutilizzate indipendenti è nato un albergo diffuso, che può arrivare a ospitare 100 persone, con due ristoranti e un centro benessere; 30 apicoltori si sono uniti per produrre miele in un apiario di comunità; è poi nata una cooperativa di comunità, che gestisce il doposcuola, mette a disposizione e-bike e ha avviato un progetto di integrazione dei migranti.

Tante iniziative che hanno portato il comune a vincere numerosi premi nazionali per le città sostenibili: secondo Lino Gentile, un piccolo comune deve concentrarsi su pochi aspetti, non avere obiettivi e progetti utopici e irrealizzabili, e, una volta scelti, investire e perseguire su questi aspetti, credendoci fino in fondo. E così ha concluso il suo intervento con un antico proverbio che recita: “Una società cresce e diventa grande quando gli anziani piantano alberi alla cui ombra sanno che non si potranno mai sedere.” 

E dal piccolo comune, il focus si è allargato alla (ri)progettazione delle grandi città, con l’architetto Marco Panzeri, che è partito dalla definizione di sostenibilità, sottolineando come sia solo una parola. La sostenibilità, infatti, non riguarda, come spesso pensiamo, il pianeta, ma l’uomo, riguarda noi, perché noi abbiamo bisogno del pianeta, ma il pianeta non ha bisogno di noi. E così, a livello geologico, dall’olocene, l’epoca iniziata 11 700 anni fa e in cui teoricamente ancora ci troviamo, in realtà stiamo passando all’antropocene, in cui l’uomo è ormai, per i suoi (super)poteri, paragonabile a una forza della natura, capace com’è di trasportare, come prima facevano solo gli agenti atmosferici, i materiali da una parte all’altra del mondo, facendo arrivare le microplastiche anche in Antartide, dove l’uomo non vive.  

E così l’architettura, che si basa proprio sui materiali, deve ripensare il loro uso, proprio perché il loro trasporto e la loro trasformazione provocano ingenti danni in termini di emissioni. La soluzione, secondo Panzeri, si trova già nelle nostre città, delle vere e proprie miniere a cielo aperto, con centinaia di edifici abbandonati che possono facilmente essere riconvertiti o i cui materiali possono essere riusati per costruire qualcosa di nuovo. Naturalmente anche per fare ciò serve energia, ma allora la sfida del futuro è affiancare alle foreste, sempre più in pericolo, che fino ad oggi servivano per assorbire le emissioni dell’uomo, delle città “foresta”, con edifici moderni e tecnologici capaci di trasformare CO2 e prodotti di scarto nocivi in nuovi prodotti innocui. E per fare ciò, l’unica strada sono le energie rinnovabili, da sfruttare per pensare alle città del futuro.

Partendo dalla scienza, in una sinergia del sapere propria del TEDx, si arriva quindi al pensiero, perché l’architettura è sì una disciplina tecnica, ma è fondamentalmente un campo umanistico, perché parte dal pensiero, da idee per arrivare a una rigenerazione urbana, una rigenerazione del nostro habitat, una riprogettazione del nostro spazio vitale.  

Simone Di Minni