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“L’arte sconvolge, la scienza rassicura” – tra gli scaffali della biblioteca, intervista a Greta Di Segni

L’arte è da sempre il mezzo più intimo e caparbio per scavare dentro se stessi e puntare il dito contro i meccanismi malati di una società che quasi sempre si limita a guardarla attraverso lastre di vetro.

Eppure, in un’era dominata dalla velocità e dal progresso, molto spesso capita di dimenticarsi che l’arte non è solo quella del passato, ma quel sottile filo rosso che, inevitabilmente, ci porta alla vita stessa.

È qualcosa che continua ad esistere dentro di noi, e che ci tormenterà anche quando i palazzi delle città cadranno sotto il fuoco delle bombe.

Allora, se in fondo a crearla siamo proprio noi, io e chi nell’arte ci si rifugia da prima di imparare a camminare ci siamo nascoste tra gli scaffali della biblioteca e abbiamo cercato di riportare in vita quell’antica luce che irradia sulla terra dall’alba del mondo. 

 

  • Com’è iniziata la tua passione per l’arte?

Nasce da prima che io ne abbia memoria, ho iniziato a disegnare prima di parlare. Negli anni della mia infanzia, non si usava come “ciuccio” la tecnologia. Di conseguenza, essendo una bimba molto vivace, mi perdevo nello scarabocchiare le pareti di casa. È stata una conoscenza senza stretta di mano, come uno schiaffo in faccia di cui ricordo ancora il suono e che non voglio dimenticare. 

 

  • Ho sempre trovato che questo tipo di passione non è altro che quell’amore intellettuale che descrivevano i poeti antichi, come se l’arte – così come anche la filosofia o la poesia – potesse essere per davvero un’entità reale e corporea. Tu, invece, come descriveresti il vostro rapporto e
    cosa significa per te tutto questo?

È difficile dirlo. È un rapporto privatissimo e ambivalente. Alcune volte passano mesi prima che io riprenda in mano una matita e la mano diventa pigra. Altre invece, il cervello corre e passo giornate intere a realizzare l’idea. È come una febbre che infetta il corpo, l’urgenza di rappresentare quello che ho in mente diventa più invadente che mai. Per me l’arte è un culto, una terapia. È l’unico strumento che possediamo per tornare potenza. Ci chiameremo artisti il giorno in cui spoglieremo gli uomini facendoli tornare feti dinanzi l’arte. 

 

  • C’è qualche artista a cui ti ispiri o a cui ti senti più legata? 

Sono molto legata a Munch, Van Gogh, Basquiat, Hopper, Matisse, Francis Bacon, Dalì e Magritte. Quando ero piccola sognavo di poterli conoscere anche solo per un caffè. 

 

  • Chiunque faccia una passeggiata per i corridoi può notare le pareti affrescate con alcuni dei tuoi murales. Come ti fa sentire l’idea di aver lasciato una firma indelebile sui muri di questa scuola? 

Non ci penso mai in questi termini. Provo una strana gelosia per quei lavori, forse perché “moriranno” con

l’edificio, immagino. Spero ci sia impegno nella loro conservazione, per me è stato un privilegio prendere parte ad un tale progetto. 

 

  • E invece cosa vorresti provassero le persone nell’osservare le tue opere?  

Forse per pudore, spesso quello che faccio lo tengo per me. In ogni caso mi auguro che provino fastidio, oltre che semplici sensazioni. L’arte deve commuovere, anche se io non voglio portare nessuno dalla mia parte: devo solo essere un tramite, una guida per l’occhio che osserva qualcosa che non ha mai visto in quel codice rappresentativo. 

 

  • Ormai sei all’ultimo anno, tra pochi mesi potrai spiccare il volo! Come pensi che cambierà il tuo
    rapporto con l’arte ora che non sarai più una studentessa liceale?

Non si prospetta un divorzio, anzi. L’arte è un mezzo potentissimo di cui voglio servirmi nelle mie esperienze lavorative. Questi anni scolastici mi sono serviti per trovare i giusti mentori. Ho avuto la fortuna di incontrare persone meravigliose, che mi hanno aiutata a migliorare, ad uscire fuori dal guscio, ma soprattutto mi hanno fatto capire quanto questa passione sia forte per me, sarò per sempre grata loro per questo.

 

  • Per chiudere in bellezza vorrei porti una domanda un po’ più spinosa, forse. Come accennavo all’inizio, inevitabilmente il modo in cui l’arte è percepita dalle persone sta cambiando di pari passo con l’evolversi del mondo in cui viviamo. Che ruolo credi che avrà in futuro e come la società si rapporterà ad essa? 

Non saprei, non sono particolarmente ottimista. Se è vero che l’arte ha la stessa età dell’uomo (e il merito è della sua utilità), negli ultimi anni stiamo assistendo ad una sua involuzione, oltre che ad una degenerazione con la tecnologia. Oggi siamo tutti “artisti” e pensiamo che sia tutto arte (siamo andati ben oltre il Dadaismo), il nostro occhio non è più allenato a meravigliarsi. Stiamo perdendo la consapevolezza delle nostre mani e il paradosso è che noi siamo uomini solo con esse. Senza gli impulsi siamo macchine ma senza mani siamo solo animali. Vorrei tanto che si ripartisse da qui.

 

  • Non potrei essere più d’accordo. Grazie di tutto Greta!

 

  • Grazie a te Ale!

Alessandra Masciantonio

Foto di Chiara Antenucci