Neurogenesi: si può fare!

Alla Columbia University di New York il professore J.John Mann conserva sotto zero una collezione di oltre 5000 cervelli, tutti di età compresa fra i 14 e 79 anni e privi di ogni patologia, ma non è uno zombie. Egli è infatti un neurologo esperto di depressione maggiore e insieme a Maura Boldrini, ricercatrice toscana laureata in neurobiologia e psichiatria, sta analizzando i diversi tipi di cervelli alla ricerca del segreto della neurogenesi.
Recentemente la dott.ssa Boldrini ha trovato ulteriori conferme della rigenerazione dei neuroni, presente nei topi e nelle scimmie in forma leggera, ma già ipotizzata per l’essere umano in uno studio del 2013, pubblicato sulla rivista Cell e condotto dal coordinatore Jonas Frisen del Karolinska Institute di Stoccolma. Quest’ultimo non è stato però il primo a chiedersi se il nostro cervello potesse auto-rigenerarsi; infatti una delle prime ricerche risale al 1998. Un team di ricercatori svedesi inocularono nelle staminali neurali (cellule del tessuto nervoso) di malati terminali tra i 50 e i 70 anni una sostanza chimica tracciante, BrdU. La stessa fu trovata nei neuroni adulti dopo la morte, provando così che erano stati creati ex novo nel periodo poco precedente al decesso.
La ricerca della dott.ssa Boldrini comprende però una fascia di età più ampia (dai 16 anni agli 80) e considera tutti cervelli “sani”. Grazie a mesi di accurate osservazioni, il gruppo di scienziati è riuscito a mettere insieme la storia della nascita di un neurone: prima di diventare adulto, una stamina neurale attraversa diversi stadi di maturazione, ciascuno caratterizzato da una proteina ben diversa. Grazie alla presenza di un circuito complesso di interconessioni neurali, negli ippocampi maturi (zona lobo-temporale del cervello umano) i neuroni “giovani” si mantengono in numero costante, circa 30.000. Questo dimostra che il ricambio di neuroni nell’ippocampo è continuo, anche in quelli degli ottantenni; cervelli più anziani, però, ricevono meno sangue e subiscono un’inibizione delle attività celebrali. Dunque persone molto anziane possono essere attive intellettualmente, ma spesso con l’aumento dell’età diminuiscono i capillari che nutrono i neuroni : “Questo porta quindi a un rallentamento delle capacità cognitive. È una cosa che ci si poteva aspettare, ma non era ancora stata individuata in modo così preciso” ha spiegato Maura Boldrini.
Il ruolo che riveste l’ippocampo è principale nella neurogenesi. Questa è un’area celebrale fondamentale per l’apprendimento e il consolidamento della memoria e la scoperta che è anche la fabbrica dei nostri neuroni apre la strada alla ricerca di nuove terapie per malattie neurodegenerative come l’Alzheimer o anche la depressione. Entrambe inducono infatti una riduzione dell’ippocampo stesso, che con il tempo porta l’attività celebrale ad addormentarsi, fino a spegnersi.
Non tutti però condividono l’idea che il cervello si rigeneri nel tempo: uno studio della University of California, pubblicato su Nature, sostiene il contrario. Il neuroscienziato Arturo Alvarez-Buylla si dichiara sconcertato al riguardo : “Abbiamo esaminato l’ippocampo aspettando di vederci molti neuroni giovani. Siamo rimasti sorpresi quando non l’abbiamo trovati”.
Il dibattito sulla neurogenesi rimane ancora acceso, ma Maura Boldrini non si scoraggia. Ha lasciato l’Italia, dove le leggi sulla ricerca neuroscientifica erano troppo rigide per approfondire i suoi studi e adesso che ha ottenuto le prime conferme non intende fermarsi.
Alessia Priori / Liceo Classico Galileo di Firenze