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L’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di contagio da COVID-19: la nuove ricerche italiane

Due studi sono stati tenuti dall’Università di Harvard e da quella di Catania negli ultimi tempi, ed è stata scoperta la correlazione esistente tra i contagi da COVID-19 e le polveri sottili, tema che si stava già discutendo da diversi mesi.

Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, ha sottolineato l’indubbia importanza dei due studi, ma consiglia al tempo stesso di non trarre da questi delle conclusioni definitive. Rappresentano però sicuramente, come ha affermato, un grande passo avanti per definire lo scenario dei fattori a rischio.

Il 23 giugno scorso si è inoltre tenuto il webinar “Inquinamento atmosferico e COVID-19”, parte del programma CCM 2018 del Ministero della Salute e organizzato grazie all’Associazione Italiana di Epidemiologia.

Altri importanti studi si stanno tenendo dall’Arpae in collaborazione con l’Università di Bologna e con Public Health England. Sono già stati scritti due articoli: The secretive liaison of particulate matter and Sars-Cov-2. A hypothesis and theory investigation, pubblicato sulla rivista internazionale Frontiers of Genetics, e Environmental pollution and Covid-19: the molecular terms and predominant disease outcomes of their sweetheart agreement, in corso di pubblicazione nella rivista italiana Epidemiologia&Prevenzione. Da questi studi è emerso che alti livelli di PM (particolato) nell’aria possono contribuire al peggioramento delle condizioni cliniche di chi è affetto dall’infezione da Sars-Cov-2, soprattutto nel caso in cui il soggetto abbia patologie pregresse.

Secondo questi primi studi quindi, l’inquinamento non dovrebbe essere correlato con l’entrata del virus nell’organismo, ma sarebbe solo un ulteriore fattore di rischio, che potrebbe aumentare la suscettibilità all’infezione o aggravare i sintomi da Covid-19. Un ultimo studio è stato svolto dal Position Paper della SIMA (Società italiana di medicina ambientale) e dalla rete Resocop. Da questo è emerso come, in caso soprattutto di RT particolarmente elevato, le goccioline di saliva, interagendo con il particolato sospeso, rallentano la velocità di dispersione outdoor e la distanza di sicurezza da tenere in tal caso dovrebbe essere di circa 8 metri.  L’effetto di accelerazione del processo di contagio sarebbe quindi determinato da alte concentrazioni di polveri e da una meteorologia sfavorevole, oltre che ad un’elevata concentrazione del virus. Non ci resta che aspettare ulteriori studi per poter comprendere meglio il vero legame esistente tra l’inquinamento atmosferico e i contagi da Covid-19.

 

DI SARA BERTUZZI, 2A