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GUERRA CIVILE TRAVOLGE IL MYANMAR: NON SI FERMANO GLI SCONTRI TRA I MANIFESTANTI E L’ESERCITO.

28 febbraio – Proteste cittadine infiammano ormai da un mese il Myanmar, stato della penisola indocinese, vittima lo scorso 1 febbraio di un colpo di stato da parte dell’esercito locale. I manifestanti scesi per le strade non si arrendono neanche di fronte ad una violenta repressione, pronti a difendere i propri diritti e ripristinare un governo democratico.

Con il colpo di stato l’esercito si impone al partito democratico guidato da Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione al regime militare per circa 15 anni e vincitrice del premio Nobel per la pace nel 1991, salita al potere nel 2015 con una vittoria elettorale e un grande favore popolare. Nonostante lo schiacciante 83% di voti a lei favorevoli nelle elezioni dell’8 novembre scorso, l’esercito chiede un riconteggio, che viene però negato, scatenando così la violenta reazione. Si assiste infatti ad un susseguirsi di arresti degli esponenti del partito al potere e della stessa Suu Kyi, blocco dei confini, delle reti internet e mobili, e comparsa di pattuglie militari per le strade; viene dichiarato lo stato di emergenza per 1 anno e posto al potere il generale Min Aung Hlaing.

È a questo punto che la popolazione insorge: migliaia di persone si riversano per le vie delle città, dando avvio a manifestazioni pacifiche con lo scopo di ristabilire il governo democratico da loro voluto. Si tratta di civili non armati e inoffensivi, di cui fanno parte politici, attivisti, giornalisti, persone comuni, ma soprattutto giovani, che si sentono privati di un futuro che preservi la democrazia e la tutela dei diritti. 

La risposta dell’esercito è però dura: minacce, avvertimenti, che si trasformano ben presto in arresti, repressioni violente con utilizzo di gas lacrimogeni, esplosioni e cannoni ad acqua per disperdere la folla, accompagnate da armi da fuoco e proiettili che ad oggi hanno causato la morte di 22 manifestanti e decine di feriti. 

Una vera e propria guerra civile che non sembra poter essere fermata neanche da interventi esterni: le sanzioni economiche da parte di Stati Uniti ed Unione Europea, il blocco su social come Facebook e Instagram, e la condanna dell’Onu non sembrano infatti smuovere le intenzioni dell’esercito che, al contrario, continua sempre più imperterrito le repressioni, violando così l’indennità fisica dei cittadini e la loro libertà di espressione.

Ci si interroga sui motivi di un tale gesto. Si esclude la brama di potere in quanto l’esercito controlla un quarto dei seggi in parlamento; si presume, piuttosto, un interesse personale del generale, sospettato di irregolarità finanziarie e a rischio di una possibile indagine sulle proprietà della famiglia.

Gaia Casati, 3G