Sport. Rendimento fisico dei calciatori

I calciatori durante l’arco della partita effettuano mediamente 195 sprint dalla lunghezza compresa tra i 10 e i 15 metri, correndo per 22.5 minuti dei 90 minuti di gioco, il 25% del tempo totale, ad oltre il 120% della propria massima velocità aerobica. Il numero degli scatti brevi che i giocatori effettuano durante il corso della partita è aumentato notevolmente nel corso degli anni: dai 70 sprint delle partite del 1947 fino ai 145 sprint degli anni 70 e ai 195 odierni. Questi sprint che i calciatori compiono sono molto dispendiosi dal punto di vista energetico visto che sono composte da un susseguirsi di fasi accelerative e decelerative che causa un ulteriore costo energetico. Per questo motivo i calciatori si sottopongono ad allenamenti che riguardano la forza esplosiva che prevedono carichi attraverso i quali si esprime la massima potenza, per un numero di ripetizioni che sono in funzione di quest’ultima e alti tempi di recupero. Con questo tipo di allenamento si portano i calciatori in uno stato di affaticamento lievemente superiore a quelle di gioco. L’allenamento dovrà essere abbastanza lungo da portare l’atleta al suo punto critico di fatica, facendolo andare in crisi senza però far perdere la connotazione “esplosiva” all’allenamento. Le esercitazioni devono avere una certa alternanza tra fasi di alta intensità e fasi di recupero attivo, in modo da essere il più possibile attinenti al modello prestativo di competizione. Il preparatore tecnico e l’allenatore possono usufruire di una serie di prove per controllare le condizioni fisiche dei propri giocatori come, per esempio, un’accelerazione scattante sui 5-10 metri, velocità breve (15-30 metri, media; 30-60 metri, prolungata; 80-150 metri e oltre), elevarsi da terra almeno 70-90 cm; saltare da fermo almeno 2,6– 3 m. Per non rischiare infortuni, spesso, si evitano gli esercizi base come: strappo, girate, stacco, squat e distensioni. Per capire se un atleta è abbastanza forte o ha bisogno di migliorarsi basta vedere se quest’ultimo raggiunge la massima potenza o una percentuale di essa. Qualunque preparatore che di pesistica sa come rendere un atleta abbastanza forte senza ricorrere alla chimica. Per controllare se l’atleta dispone di più o meno fibre bianche, e quindi è più veloce e scattante rispetto a chi possiede più fibre rosse, oltre alla biopsia muscolare, basterà sottoporre l’atleta al più elementare dei test come, per esempio, verificare quante volte riesce a sollevare l’80% del proprio massimale in un determinato esercizio di potenza. Se riuscirà a concludere 8 – 10 ripetizioni o più, allora è un atleta a prevalente resistenza aerobica, e quindi dotato geneticamente di più fibre rosse. Se si ferma dopo 3-5 ripetizioni avendo lo stesso massimale di un altro atleta che ne aveva effettuate invece 10 o più, si rivelerà un atleta a prevalenza di fibre bianche, le fibre della velocità e della potenza. Conseguentemente questi atleti non possono assolutamente effettuare lo stesso tipo di allenamento. Un esempio evidente si ha quando i giocatori effettuano lo stretching a comando, che è un gesto specificamente individuale: ognuno raggiunge il suo grado di flessibilità. Durante la partita, normalmente, il lavoro propriamente aerobico consiste di 3 km di marcia e a 6 km di corsa lenta. Impegno questo sostenibile anche da un soggetto scarsamente allenato. Riferendosi poi alla resistenza, non si parlerà di quella generale organica, tipicamente aerobica, ma di ripetizioni di resistenza alla velocità. La natura della corsa a scatti brevi spiega come mai il metabolismo anaerobico alattacido ricopra una notevole fetta di lavoro. Vanno poi aggiunti altri gesti tipici del calcio, brevi ma molto intensi, quali: dribbling, contrasti, calci da fermo e colpi di testa che aumentano l’intervento di tale metabolismo. Quando il calciatore è costretto ad eseguire tali movimenti in modo molto ravvicinato, è anche necessario l’intervento del meccanismo anaerobico lattacido. Il gioco del calcio comporta quindi un rapido consumo delle scorte energetiche muscolari nel corso dei 90 minuti. A limitare la prestazione del calciatore, anche di quello ben preparato, è la carenza di glicogeno muscolare, specialmente quando si gioca per più di una partita a settimana. La deplezione delle scorte, inoltre, non è dovuta al solo lavoro muscolare, ma anche alle intense attività di coordinazione neuromuscolare e di concentrazione sulla situazione del gioco visto che entrambi richiedono energia dagli zuccheri.

Luca Russo, III I