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La differenza si può fare ogni giorno, non voltandosi dall’altra parte.

di Alice Mosca e Anna Sartini

Venerdì 25 gennaio l’Aula Magna del Liceo Classico Andrea D’Oria ha ospitato un incontro sulle Leggi razziali del 1938, un’occasione di riflessione, a distanza di 80 anni dall’emanazione del Regio decreto con cui si sanciva la discriminazione di migliaia di italiani in base alla loro religione.

Ma l’intervento iniziale della conferenza ha riguardato la Resistenza.  La prima a parlare infatti stata Antonella Cinelli, che si è interessata alla vita dei partigiani, utilizzando la pittura come strumento di indagine  storica. Antonella infatti dipinge e raffigura nei propri quadri i partigiani, dopo averli conosciuti e aver parlato con loro.

Essi – che adesso sono anziani – avevano quasi tutti tra i 14 e i 19 anni e un nome in codice.  Come Condor, un ragazzo di diciassette anni che sminava a mani nude gli esplosivi nei canali, immergendosi nell’acqua gelida in pieno inverno, e aiutava le famiglie ebree a raggiungere  le loro case e i paradadutisti alleati dispersi a ritrovare la strada nelle Valli del Comacchio allagate. O come Gildo, che decise di entrare nei partigiani dopo aver visto morire atrocemente il padre, che i fascisti avevano costretto a bere olio di macchine. O come Gina, che già a 18 anni sapeva dattilografare e che batteva a macchina tutti i proclami partigiani, avvolta in un tappeto, in una stanza foderata di tappeti per non farsi sentire dai vicini… e che verrà poi denunciata, torturata e deportata.

Ha preso poi la parola Alessandra Jarach, responsabile del Memoriale della Shoah,  che ha ricordato come – secondo Raul Hilberg, autore di un’opera fondamentale per la compresione della Shoah, “La distruzione degli Ebrei d’Europa”,  il genocidio è stato scientificamente perseguito, a partire dalla Conferenza di Wannsee del 1942, secondo un percorso progressivo sintetizzabile in tre fasi: separazione tra gli ebrei e i tedeschi e cancellazione dei diritti (lavoro, scuola, studio…), espulsione (gli ebrei dovevano allontanarsi dalla Germania) e infine eliminazione.

Intere famiglie ebree venivano deportate nei campi di concentramento da ogni nazione d’Europa, uomini e donne venivano rasati, indossavano lo stesso indumento. L’omologazione così perseguita  precedeva l’insulto finale: il loro nome veniva sostituito con un numero, in questo modo perdevano la loro identità, venivano fatti schiavi, uccisi nelle camere a gas, successivamente  i loro corpi venivano bruciati.  Il processo di annientamento era a questo punto completo.

Ma il progetto di eliminazione della cultura ebraica europea, nonostante i morti siano stati 6,5 milioni su 11 milioni è fallito. Anche grazie a chi – come i “Giusti delle nazioni”, che hanno messo a rischio la propria vita per salvare anche solo un’altra vita o come gli uomini della Resistenza – ha scelto di non girarsi dall’altra parte.

Ognuno di noi può fare la differenza, ogni giorno. Anche oggi.

Non dobbiamo commettere gli errori del passato e ricordare che siamo tutti uguali.