La gara di corsa – Racconto

Il giorno che attendo da tutta la vita è finalmente arrivato. È la mia grande occasione per dimostrare chi sono! Chiudo gli occhi e inspiro nella brezza gelida della mattina. Un leggero borbottio mi spinge a portare agli occhi al cielo, che non promette niente di buono. Vedo le nuvole contratte e tese in procinto di esplodere. Storco la bocca: nonostante la mia celerità, correre sotto la pioggia mi ostacola a causa della corporatura esile che possiedo. Un ragazzo prestante accanto a me sogghigna compiaciuto. La sua resistenza fisica potrebbe favorirlo non poco. Malgrado ciò, il temporale in arrivo non è riuscito ad evitare che gli spalti si riempissero. Nelle prime fila scorgo i miei genitori e mia sorella sbracciarsi nel patetico tentativo di incoraggiarmi. Sorrido nervoso. Se dovessi perdere, la mia vita potrebbe terminare. Non potrei mai reggere il peso delle loro facce deluse che mi seguono intanto che mi trascino sfinito in uno stadio ormai deserto.
Il fischio dell’arbitro blocca il flusso dei miei pensieri riportandomi alla realtà. Mi posiziono sulla linea di partenza insieme agli altri gareggianti. Mi piego in avanti, fletto le ginocchia, isolo la mente. Sono pronto. Al colpo d’inizio, le mie gambe sfrecciano per prime davanti a tutti. Sento il vento che mi fende le guance e il respiro. Passo. Stacco. Passo. Stacco. In un millesimo di secondo il piede aderisce perfettamente al suolo per poi levarsi rapido in fuga. Tengo tutti i concorrenti alle spalle. Corro con l’aria. Sono aria. Audaci, cominciano a cadere le prime gocce di pioggia. Dopo poco il campo si è fatto terreno di guerra. Arranco ansimante tra le enormi pozzanghere disseminate sulla pista. Fatico a liberarmi i piedi, inciampo. Vedo il colosso di prima superarmi insieme ad altri ragazzi, non ce la faccio. Ma le gambe non mi abbandonano ancora. Volano veloci sul campo, scansando le pozze. Passo, stacco. Passo, stacco. Penso alla fatica che ho fatto per venire fino a qua, alla vittoria che devo a me stesso. Stringo i denti. Passo, stacco, passo, stacco. Sono di nuovo primo, la pioggia s’infittisce imperterrita. Persiste scrosciante ad intralciarmi. Contro tutti, contro tutto. Passo e stacco, passo e stacco. Manca poco, lo sento, sono alla fine. Passo e stacco e passo e stacco. Vedo la linea d’arrivo, i palchi si accendono, eccomi…

-Ermes, è tardi!
Una voce prorompe sulle altre; gli applausi scemano, la folla sfuma, la pioggia cessa. Il mio cuore perde un battito mentre mi ritrovo catapultato in camera mia. Sbatto le palpebre più volte tentando di ricatturare quelle emozioni così brutalmente interrotte, ma le immagini e i suoni si disperdono come acqua tra le dita. Spalanco la bocca in uno sbadiglio, mi volto sulla sponda sinistra del letto per scendere. La sedia a rotelle mi aspetta. Dal poster appeso al muro, Usain Bolt esulta con una medaglia d’oro tra i denti. Spingendomi con le mani sulle ruote, sorrido al mio mito.
Gemma Petri / Liceo Classico Galileo di Firenze