Un secondo “grande passo per l’umanità”

“Hey, sono arrivato. Sono qui, su Marte, sano e salvo. Ce l’abbiamo fatta”.
Questo è stato il messaggio carico di orgoglio e di gioia che ha riempito i cuori di tutti quelli che, nella sera del 26 novembre 2018, stavano tremanti, freddi per la preoccupazione, con le testa che doleva per la tensione e il fiato sospeso al Nasa JetPropulsion Laboratory di Posadena, ma non soltanto: in centinaia e centinaia erano, quel giorno, a guardare in televisione la diretta dell’ammartaggio, addirittura a New York è stata trasmessa sullo schermo Nasdaq a Time Square.
È stato un messaggio carico di emozione, di significato… e pensare che era tutto contenuto in un semplice bip e una foto. Un bip aspettato e sudato per per 7 minuti, il tempo minimo che ogni segnale inviato da un macchinario come la sonda Insight impiega per coprire alla velocità della luce i 146 milioni di chilometri che separano Marte dalla Terra.
Un po’ come tornare a quel lontano 20 luglio 1969: tutti a Houston in preda all’ansia, la quale poi si è trasformata in grida di gioia alle prime famosissime parole pronunciate da Neil Armstrong: “È un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità”. E dopotutto quel che si vuol raggiungere non è poi così diverso visto che, con il successo conseguito, il molti sono coloro che hanno iniziato a costruire castelli in aria per il futuro: magari si potrà tornare sul nostro caro satellite, magari un giorno mandare l’uomo per la prima volta anche sul pianeta rosso e poi – perché no? – colonizzarlo. Alla fine, se le ricerche che svolgerà la sonda avranno risultati positivi, potrebbe rivelarsi anche fattibile un giorno: come ha sostenuto l’astrobiologa Daniela Billi dell’università di Roma Tor Vergata, anche se quella che compirà Insight sarà una missione geologica, e dunque non ci permetterà di individuare la presenza della vita su questo pianeta, ci potrà però far capire se la sua superficie è abitabile. La sonda, che è entrata nell’atmosfera marziana alle ore 20.47 ed è atterrata pochi minuti dopo con grande vittoria, dovrà svolgere due lavori importantissimi a partire da dieci settimane dopo l’ammartaggio. Tutti e due si occuperanno di studiare il cuore di Marte, dopo circa mezzo secolo passato a analizzarne solo la superficie: misurarne la temperatura e l’attività sismica. Per quanto riguarda la prima, entro circa sei settimane dall’inizio dell’attività lavorativa, verrà creato un foro nella superficie terrestre e questo potrà permetterci di scoprire se l’acqua nel sottosuolo, scoperta del luglio scorso sotto i ghiacci del Polo Sud marziano, sia più calda di quanto pensiamo e, nel caso, se Marte è un pianeta “vivo”.
Per quanto riguarda invece la seconda attività, verrà utilizzato un sismografo così sensibile che capta non sono i cosiddetti “Mars Quakes” ma anche gli spostamenti più impercettibili causati dal vento, dalle tempeste di sabbia e da variazioni di pressione, temperatura e campo magnetico.
Se parliamo di questa missione non possiamo però nascondere un po’ di orgoglio italiano: la bussola che ha guidato Insight e Larri, un riflettore laser che ci ha permesso di individuare la posizione della sonda nella piatta Esylium Planitia, sono stati fabbricati in Italia. E in più hanno collaborato alla missione l’Asi (Associazione Spaziale Italiana) e l’Infn (Istituto Nazionale Fisica Nucleare).
A oggi, senza contare i rover Spirit e Phoenix, la cui attività è cessata rispettivamente nel 2010 e nel 2008, i macchinari umani sul Pianeta Rosso sono tre: Insight, il rover Opportunity (lancio nel 2004) e Curiosity (atterrano nel 2012). Questo magari è ancora molto lontano dai sogni espansionistici dell’uomo, a cui non basta più la cara Terra, e magari serviranno ancora decenni prima di avviare una vera e propria colonizzazione del suolo alieno: ma, alla fine, non ne potrebbe essere il principio?
Ginevra Comanducci / Liceo Classico Galileo di Firenze