Niente è impossibile – Racconto

“Sono quasi le due, sono quasi le due” pensai “dopodiché potrò uscire, andare a casa e finalmente rilassarmi…”
Questo, però, non era nei piani della prof…
– Signorina Castrood, vuole ripetere alla classe quello che ho appena detto? –
– Non credo, prof, non so se mi va… – risposi io in tono provocante. L’aria si scaldò e, come per miracolo… Driin… tirai un sospiro di sollievo al suono della campanella e mi alzai rumorosamente dalla sedia.
– No, no, no, signorina! Lei rimane qui fino a quando non le darò il permesso di uscire! – disse la Brown – Lei, ora, risolverà queste cinquanta equazioni, io le controllerò e dopo, se saranno tutte giuste, lei potrà uscire –.
– Va bene – risposi io frustrata. Presi il libro e iniziai a scrivere le equazioni, quando non me ne tornò una tirai fuori la mia calcolatrice per controllare che cosa avessi sbagliato.
– Cosa fa signorina? – mi chiese la Castrood – Non le è permesso l’utilizzo di strumenti non necessari –.
– Ma questi sono necessari, io sono dislessica… – le ricordai in tono seccato. Non mi piace parlare dei miei problemi personali o della mia dislessia, sono una persona riservata.
– Può farne benissimo a meno. Sono semplici equazioni di primo grado, non voglio più vedere quel quadernino; lo metta sotto il banco! –
– Ma… – protestai io.
– LO METTA VIA! – urlò così forte che mi fece smettere di controbattere, e ce ne vuole per riuscirci. Rimisi la calcolatrice nello zaino e mi sforzai in tutti i modi di risolvere quella semplice equazione di primo grado. Passati venti minuti, riuscii finalmente a capire dove avevo sbagliato e a rimediare all’errore anche senza calcolatrice, ma con molta fatica.
Le altre venticinque equazioni le risolsi senza problemi o con poco sforzo, ma mi ci vollero comunque altri cinquanta minuti.
– Prof, ho finito, venga pure a controllare – dissi molto fiera del mio lavoro.
Lei si avvicinò e mi ritirò il foglio con un’espressione scettica dipinta sul volto, si avvicinò alla cattedra e si sedette; in cinque minuti aveva finito e scriveva una nota sul mio diario per il mio comportamento.
– Arrivederci – disse chiudendo il diario – e spero di non rivederla più in questo contesto –.
– Arrivederci – uscii sbattendo la porta infuriata con tutto e tutti.
Da quel giorno chiedevo solo di poter tornare a casa più in fretta possibile e invece neanche quello mi era stato concesso. Credevo che quello fosse il giorno peggiore della mia vita ma non sapevo cosa sarebbe accaduto in seguito… dal mio punto di vista le cose potevano solo migliorare e invece mi sbagliavo. A peggiorare il tutto c’era il maltempo: la pioggia, come la odiavo! Mi faceva diventare triste seduta stante, era fastidiosa e tendeva ad infilarsi ovunque soprattutto nelle scarpe, odiavo sentirmi bagnata e sguazzare nell’acqua delle mie scarpe da ginnastica.
Mentre camminavo tristemente verso casa inciampai in una radice che fuoriusciva dal terreno e rotolai per terra. Era davvero la goccia che fa traboccare il vaso: stanca, pensai di rimanere lì a patire freddo e sotto l’acqua, poi mi ricordai le parole che mi aveva detto mio padre prima di morire: “Nulla è impossibile, lo dice anche la parola I’m possible”. E mi tirai su, la giornata poteva ancora migliorare.
Sara Sallei / Scuola Secondaria di primo grado Puccini di Firenze