Questione di pentole – Racconto

Mi svegliai di soprassalto, mi guardai intorno, l’unica cosa che vidi fu acqua e nient’altro. Mi girai indietro,con l’intento di vedere altro oltre all’acqua, ma rischiai di volarci dentro, fu in quel momento che mi accorsi di essere su un’asse di legno in mezzo all’oceano (che fossi in mezzo all’oceano ancora non lo sapevo). Mi diedi uno sguardo addosso: i miei vestiti erano tutti squarciati, non ricordavo il perché. Cercai di ricordarmi come avessi fatto a finire lì ed in quello stato, ma fu inutile. Iniziai a scrutare invano l’orizzonte in cerca della terraferma ed inaspettatamente sulla destra vidi un’isola, iniziai a correre, o meglio a muovere le braccia all’impazzata spostando l’acqua. I sette anni passati a surfare sarebbero finalmente serviti a qualcosa. L’isola si fece sempre più vicina e man mano che mi avvicinavo mi capacitavo del fatto che non fosse un’isola ma una grande barca. Non aveva proprio intenzione di fermarsi, ma per non so quale miracolo, qualcuno a bordo della nave mi vide, mi lanciarono un salvagente e mi tirarono su. Mi aggrappai al bordo della nave, mi tirai su e non feci neanche in tempo a ringraziare, che alzai lo sguardo e… niente, non c’era nessuno, eppure qualcuno doveva avermi tirato su, ma non vidi nessuno. Corsi verso la cabina del comandante ma anche lì non c’era nessuno, ma la barca andava e seguiva una rotta precisa. Preso dal panico, iniziai a cercare tutti gli oggetti che mi sarebbero potuti tornare utili e mi ritrovai con una corda, un cappellino, una sacca e un paio di forbici. Il sole ormai stava tramontando, così mi cercai un posto comodo e mi ci sdraiai. Probabilmente mi addormentai. Clomp clomp, sentii dei rumori, aprii gli occhi e vidi tutto nero, per un momento credetti di essere morto, poi però mi accorsi di avere qualcosa a coprirmi la vista, le mie mani erano legate, iniziai a urlare, sentii dei passi, qualcuno si stava avvicinando, urlai più forte ma niente, i passi si fermarono. “Se ne sarà andato” pensai, poi mi tolsero la benda. Davanti a me vidi quella che apparentemente poteva sembrare una ciurma, ma li squadrai meglio dal basso verso l’alto e i piedi… dove erano i loro piedi? E le mani dove erano? E la testa, la testa dove era? Fu allora che capii di essermi cacciato in un brutto guaio. Uno di loro avanzò verso di me, doveva essere il loro capo, iniziai a parlare a vanvera cercando spiegazioni, ma da dietro spuntarono altri due loro simili che mi tapparono la bocca.
Il loro capo iniziò a parlarmi così: “Ciao, umano, noi siamo la tribù dei Vaqui e veniamo dal sottosuolo più buio dell’India. Io sono Vasco e sono il re, tu chi sei?”
Mi strapparono lo scotch e dalla mia bocca dolorante uscirono queste parole: “Mi chiamo Jason e vengo da Rosewood, sai dirmi come sia finito in mezzo all’acqua?”
“Non so come tu ci sia finito ma so che ci sei stato almeno tre giorni, noi pensavamo fossi morto, ma quando ti abbiamo visto nuotarci incontro ci siamo stupiti e ti abbiamo tirato subito su.”
“Se non sono troppo scortese, potrei chiederti cosa ha il vostro corpo che non va?”
“Molti anni fa questa nave è stata colpita da un fulmine, che ci ha trasformati in quello che siamo adesso e da quel momento stiamo navigando per mari e oceani cercando di farci colpire ancora dallo stesso tipo di fulmine, senza riuscirci, come vedi, ma credo che tu possa aiutarci.”
“E come?”
“Mentre dormivi ti abbiamo perquisito e abbiamo trovato un biglietto con scritto un messaggio: «Questo ragazzo vi salverà, firmato Fitz»”
Fitz, Fitz, Fitz… Chi era? Mi ricordava qualcosa, ah sì: ero su una nave da crociera e Fitz era il mio vicino di sdraio. Perché il mio vicino di sdraio avrebbe dovuto buttarmi in acqua e lasciarmici per tre giorni e, soprattutto, come avrei dovuto salvare quella gente?
“Puoi salvarci?” mi chiese, io mi vergognai e mi sentii imbarazzato, fu in quel momento che decisi che sì, li avrei salvati, non sapevo ancora come, ma sapevo che l’avrei fatto.
“Allora, come si fa ad attirare un fulmine?” chiesi ai miei strani ospiti.
“E lo chiedi a noi, non sei tu quello che dovrebbe salvarci?”
“Giusto, allora, quando siete stati colpiti la prima volta avevate su questa nave qualcosa di diverso rispetto ad adesso?”
“A ripensarci, avevamo una scorta di pentole, ma adesso le abbiamo tutte buttate in mare dato che non ci servono più”
Pensai di chiedergli il perché del fatto che non gli servissero più, ma poi mi ricordai del fatto che fossero invisibili e mi fermai.
“Ok,” dissi “abbiamo bisogno di pentole”. In seguito alla mia affermazione seguì una sonora risata, a cui io risposi: “Tentar non nuoce e poi che abbiamo da perdere?”
“Nulla” mi risposero in coro e da lì iniziarono le spedizioni verso la terraferma in cerca di pentole. Dopo tre giorni, avevamo accumulato ventisette pentole ed erano tutti convinti del fatto che sarebbero tornati normali, e se non ci fossimo riusciti? Se fosse stato tutto un fallimento? Non potevo pensare a quello. Posizionammo le pentole, legandole alle vele e aspettammo il temporale. Ma quando sarebbe arrivato? Se avevo ragione, nel momento in cui il fulmine ci avesse colpito tutto sarebbe tornato come prima, i Vaqui sarebbero tornati in India e io… e io, oddio non avevo pensato a come avrei fatto a tornare a casa, tormentato da quel pensiero, mi sedetti e iniziai ad aspettare. Passarono due giorni e finalmente eccolo: il fulmine ci colpì, i Vaqui pian piano riapparirono ed io piana piano scomparii nel nulla.
Chiara Maika Donatone / Scuola Secondaria di primo grado Puccini di Firenze