Allevamento intensivo inquina più di auto e moto

L’industria della carne rivela le statistiche dell’inquinamento che produce

Secondo lo studio dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, riscaldamento e allevamenti sono responsabili rispettivamente del 38% e del 15,1% del particolato PM 2,5 della penisola. In altre parole, lo stoccaggio degli animali nelle stalle e la gestione dei reflui inquina più di automobili e moto (9%) e più dell’industria (11,1%). Il calcolo di Ispra ribalta la classifica dei settori inquinanti prendendo in considerazione sia il PM primario (quello direttamente emesso dalle sorgenti inquinanti, ad esempio dai tubi di scappamento delle auto) che il PM secondario (ovvero quello prodotto in atmosfera da reazioni chimiche che coinvolgono diversi gas precursori). Per fare un esempio, il contributo degli allevamenti intensivi al PM primario è irrisorio; infatti, gli allevamenti sono responsabili in media di poco più dell’1,5% delle emissioni di PM primario (nello specifico, dell’1,7% di PM 2,5 primario nel 2016). Al contrario, diventano centrali se si prende in considerazione anche il particolato secondario, ovvero quello derivante dalla produzione di ammoniaca (NH3) che, liberata in atmosfera, si combina con altre componenti per generare proprio le “polveri sottili”.

Il consumo globale di carne è in aumento, e questa scelta alimentare incide profondamente sulle emissioni di gas serra e sulla nostra salute. Sono temi costantemente “sul piatto”, ma ora una revisione globale degli studi sul tema pubblicata su Science fa i conti in tasca al fenomeno e mostra, numeri alla mano, di quale crescita esponenziale si parla. La crescita dei consumi non è equamente distribuita nel mondo. In molte nazioni ad alto reddito è statica o persino in calo: alcune, come il Regno Unito, hanno già raggiunto il “picco” massimo di acquisto e stanno ora entrando in una fase discendente. Nei Paesi ancora poveri il consumo di carne è rimasto basso e stabile, ma è in quelli emergenti e a reddito medio, come la Cina e altre nazioni asiatiche, che il fenomeno è in forte aumento. Il consumo di carne, sta aumentando in relazione non solo alla crescita della popolazione, ma anche a quella del reddito medio individuale, una tendenza destinata a influire in modo importante sulle emissioni inquinanti e sulla perdita di biodiversità. Il consumo medio di carne a persona è quasi raddoppiato negli ultimi 50 anni: siamo passati da 23 kg circa all’anno nel 1961 a 43 kg nel 2014. Un tale incremento ha fatto sì che la produzione di proteine animali sia cresciuta molto più velocemente rispetto alla popolazione mondiale: i ritmi di lavoro di questa industria alimentare sono aumentati di quattro o cinque volte dal 1961.  Il problema è che, se per l’inquinamento da auto e moto si possono attuare misure d’emergenza come il blocco dei veicoli, «il settore degli allevamenti non può essere oggetto di misure di emergenza. Per intervenire sulla seconda causa di particolato in Italia, secondo Ispra, si deve ricorrere ad «azioni più strutturali». Un intervento che noi chiediamo da tempo: non può essere tutto demandato ai consumatori (che certo hanno la loro parte) ma un intervento di politica e istituzioni non può essere più rimandato.

 

Non sono solo il presente e il futuro a delineare uno scenario problematico, poiché i dati relativi agli ultimi sedici anni sono altrettanto preoccupanti. L’inquinamento da PM causato dal settore degli allevamenti, oltre a non aver subito alcun miglioramento, è invece aumentato, passando dal 10,2% al 15,1% in sedici anni.  Insomma la soluzione è chiara e non lascia tempo. Dobbiamo invertire la rotta, migliorare le nostre abitudini alimentari, smetterla di esagerare con il consumo di carne, e sceglierla con attenzione da allevamenti sostenibili e che rispettano il benessere degli animali per arrivare alla piena inutilità, e quindi scomparsa, delle fabbriche di carne. Soprattutto, le istituzioni dovrebbero impegnarsi delineando linee guida più severe e attuando controlli degli allevamenti, senza lasciare soli le Regioni e i Comuni nella gestione dell’emergenza.

Martina Forte, Domenico Miele, Eleonora Maisto, Giada Nardorilli, Sara Andreozzi, Niccolò Scarabeo