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Covid-19. La storia di Daniela, infermiera: non mi sento un eroe e a volte piango

Di Francesca Gentili

Quella che voglio raccontare e’ la storia di una cara amica di famiglia: Daniela Rocchi, 44 anni, infermiera di Pronto Soccorso dell’ Ospedale romano San Giovanni dell’ Addololorata dal 2003.

Daniela cosa vuole dire essere infermiera di Pronto Soccorso nel momento particolare che stiamo vivendo oggi?
Non e’ facile dirti cosa significa, non abbiamo neanche avuto modo di capacitarci di tutta questa celebrita’ che non abbiamo mai avuto. Personamente non mi sento un eroe, tutt’altro mi sento
franstornata, a volte utile, altre non vorrei essere li per diversi motivi personali. Sicuramente ho la fortuna di poter toccare con mano la situazione e capire cosa ho davanti. Ridadisco pero’ di non avere un sentimento particolare e spesso sento di essere sempre la stessa Daniela di ieri.

Ci racconti una giornata tipo? Sono così lunghi ed estenuanti?
Si i nostri turni si prolungano molto di più dell orario previsto. Le giornate sono cambiate, passiamo tantissimo tempo a proteggerci e a proteggere chi stiamo per visitare, ci vestiamo e svestiamo continuamente. Le procedure spesso cambiano e siamo quindi costretti giornalmente a rivedere i protocolli.

C’è qualcosa che non vorresti portare a casa e c’è , invece, qualcosa che sei contenta di portare? 

Non vorrei portare a casa I sentimenti di impotenza, crudeltá e separazione dagli affetti. Mi porto quotidianamente a casa le storie finite bene, la solidarietá tra colleghi, il lavorare per lo stesso
fine. Mi porto a casa le sdrammatizzazioni che facciamo in certi momenti e porto a casa la soddisfazione di aver fatto bene.

Hai visto tanti pazienti covid in questo periodo? Hai avuto paura?
Si ho visto tanti pazienti covid e si ho avuto paura, ce l’ho ancora. Paura di essere veicolo per gli altri e paura di non essere in grado di proteggere troppo bene la mia vita

Quali sono le difficoltá piu grandi che stai/state vivendo ?
Sicuramente l’organizzazione del lavoro e la gestione delle nostre emozioni. Siamo ovviamente i più esposti. Molti di noi spesso crollano, non e’ facile gestire il proprio equilibrio di fronte alla malattia , che tu non percepisci, mentre percepisci perfettamente la crudelta’, la conseguenza crudele degli affetti.  Affronti la percezione dell’ignoto con uno scudo e con un’arma ma poi non sai dove devi colpire.

Qual è la parte peggiore del tuo lavoro in questo periodo?
Penso la parte drammatica sia quella che a volte, devi chiudere in un sacco nero di candeggina un paziente che nessuno potra’ piu vedere. Beh in quei casi non ti nascondo che piango, perche’ penso a quella separazione ingiusta, l’assurdita’ di chi è rimasto a casa che piange disperatamente senza poter vedere piu’ il proprio caro.

Cosa pensi del tuo lavoro?
Sono strafelice di fare questo lavoro. Mi appaga molto, ancora di piu in questo particolare momento storico. Spero che alla fine del tunnel la gente non dimentichi l’importanza della sanita’ della quale un paese civile non può fare a meno. Nel nostro lavoro siamo così vicini alle persone che curiamo, che a volte smettiamo di preoccuparci di noi stessi; prova a pensare a quei medici ed infermieri che hanno perso la propria vita. Loro che avevano onorato e speso la propria vita per questo servizio. Beh io ti confermo di essere fiera del mio lavoro e di cio’ che faccio ogni giorno.