Il Diario della maturità – terzo capitolo

Di Emanuele Caviglia

 

LE TRE GRAZIE

Fino a poco tempo fa, il mio esame orale lo vedevo come il paradosso zenoniano di Achille e la tartaruga. Più mi ci avvicinavo, più quello scappava via. A studiare studiavo eh, sia chiaro, ma non avevo ben compreso l’idea che ci sarebbe stato davvero un giorno in cui avrei dovuto rendere conto di quanto fatto durante questi 3 mesi (proprio il tempo di una vacanza estiva) ai miei professori. Colpa naturalmente della quarantena, che mi ha indotto a pensare cose del tipo “se non sono tornato a scuola per tutto questo tempo, chi me lo fa pensare che dovrei farlo per un’ultima volta un giorno di metà giugno?” e che non mi ha fatto metabolizzare la fine della mia vita da studente.

La fine di questo comportamento da gnorri, è avvenuta quando si sono spalancate davanti a me le porte di giugno. Ebbene sì, davanti a giugno dovevo per forza abbassare la maschera. Per cui, quando il calendario ha segnato l’1 del mese, ho sentito un solletichino lungo la schiena. “E’ il momento di affrontare le mie più grandi paure”, mi sono detto. A cosa mi riferivo? Alle tanto temute materie scientifiche: matematica, fisica e scienze.

Ad essere onesto non sono mai stato uno studente modello in certe discipline, per usare un eufemismo. Si mischiava un incrocio di bassissima sopportazione e incapacità cronica del sottoscritto verso questo mondo, durato oltre 14 anni, che mi ha spinto a ignorare la suddette materie per tutto l’ultimo anno di scuola. Un comportamento sicuramente non da persona matura, dove però riuscivo ad arginare il mio super-io convincendomi che se il tempo -per giunta sprecato perché non ci sarei riuscito comunque- impiegato in queste materie era sottratto alle altre, ben più stimolanti e gratificanti. E oltretutto, quando mai mi avrebbero bocciato per matematica, fisica e scienze quando andavo così bene nel resto? Figuriamoci poi quando è scoppiata la pandemia: i due 4 rimediati al primo quadrimestre nelle prime due materie si sono improvvisamente tramutati in 6 con uno schiocco di dita senza che io facessi niente, e solo perché il docente non poteva fare altrimenti.

Nonostante tutto, però, non volevo fare la figura del menefreghista all’esame, sia per me che per il prof, che si è impegnato così tanto durante la didattica a distanza -forse pure troppo- e che sebbene i votacci credo mi ritenga un ragazzo in gamba. O almeno, sicuramente più dei vecchi professori di matematica e fisica avuti in passato. Per cui, nel piano pensato in vista dell’esame, avevo lasciato le tre grazie per ultime, promettendomi di dedicarle anima e corpo. Qualcosa sarei riuscito a inventare, su, giusto per non fare scena muta. Addirittura, studiandole insieme ai miei compagni, capre quanto me, stavo marciando sorprendentemente abbastanza spedito.

 

DI NUOVO INSIEME

Nel frattempo, per celebrare l’ultimo giorno di scuola ufficiale, con i compagni di classe abbiamo deciso di organizzare un pic-nic a Villa Celimontana, invitando -udite udite- anche i professori. Un po’ perché non ci vedevamo come classe da tre mesi, un po’ per esorcizzare insieme agli insegnanti in vista dell’esame, un po’ forse pure per ingraziarceli. Non eravamo proprio tutti tutti, ma c’era davvero una bella atmosfera; il professore di latino e greco si è persino messo a suonare con la chitarra “Notte prima degli esami”, una performance indimenticabile. L’unica pecca è stata che avendo organizzato tutto in fretta e furia il buffet non era proprio ricco, ecco, e la prof di inglese -una senza peli sulla lingua, che devi prenderla così com’è, con tutti i suoi pregi e difetti- se ne è uscita scherzosamente con un “pare de stà alla mensa della Caritas”. Anche quello però mica ci ha smorzato, anzi, ci ha uniti tutti sotto la stessa risata. Come si dice in gergo, “l’abbiamo presa a bene”, scherzando amorevolmente quasi fossimo coetanei.

 

UNA SETTIMANA DI FUOCO

Nel mentre, di punto in bianco, il professore di latino e greco si è avvicinato al gruppetto di amici miei con una richiesta piuttosto insolita: ci ha proposto di studiare, infatti, in un convento di monache agostiniane, di nome Montefiolo. Se a me il nome suonava decisamente nuovo, non era lo stesso per alcuni compagni, perché una delle particolarità della mia classe è che ci sono dei ragazzi che appartengono a una sorta di comunità cristiana, dove ci sono un sacco di famiglie con un sacco di figli; anche quelle dei miei amici sono molto numerose, e del resto quando hai 5 fratelli a casa è meglio se per studiare in vista della maturità vai da un’altra parte. Io invece, rispetto a loro mi sento così piccolo, figlio unico quale sono, ma nonostante ciò avevo anch’io bisogno di non vedere per qualche giorno le altre due persone che animano la mia famiglia, mamma e papà.

Per cui, zaino in spalla e si parte per Montefiolo. Non ero mai stato in un convento e quindi per me il posto era molto particolare, c’era una tale calma che mi sono quasi dimenticato della pandemia. Nei tre giorni che trascorrevamo in convento, inoltre, sapevamo che avremmo dovuto attendere una decisione fondamentale per il nostro destino: la fatidica sezione con conseguente lettera di partenza dell’esame. Per chi non lo sapesse, quando si svolge l’esame orale accorpano due classi con lo stesso presidente di commissione, per cui una inizia per prima e l’altra per seconda. Un rito che inevitabilmente favorisce alcuni più di altri, ma che comunque non si può evitare. Io ed i miei amici avevamo solo un desiderio: seconda classe, seconda classe, seconda classe. Il pensiero ci assillava, forse me più di loro, ed alloggiando fuori fino al 15 giugno nella peggiore delle ipotesi avremmo fatto l’orale solo due giorni dopo essere tornati. Non è che fossimo impreparati, solo che avevamo maledettamente bisogno di buttare un’ultima, fugace occhiata su tutto. Potrà sembrare stupido, ma quando studi anche lo sguardo finale può risultare decisivo, perché ti aiuta a dare una visione d’insieme, a unire i tasselli del mosaico. Ammetto, ero terrorizzato: ho persino sognato che capitavo primo di tutta la scuola, per la disperazione sbattevo la testa al muro e il mio professore di storia e filosofia cercava di consolarmi dicendomi “non ti preoccupare Emanuele, visto che sei il primo cercheremo di venirti incontro”, ma non ne volevo saperne niente. Mi sono svegliato di soprassalto la mattina dopo, attendendo il messaggio da parte del coordinatore dei prof, ed in quanto rappresentante di classe avrei dovuto essere avvisato dell’esito della decisione. A colazione mangiai poco, facevo fatica a concentrarmi per studiare, fino a che lo schermo del mio telefono si è illuminato. Prof. R: “potete restare un’altra settimana a Montefiolo, cominciate il 22”. Esplodo in un’impeto di gioia, abbracciandomi con i compagni, gridando e strillando per tutto il convento. Subito dopo gli ho risposto digitando un “daje!!!”.

Ora ero decisamente più sollevato, sentivo che qualcuno aveva messo una buona parola per me. Del resto si dice che la fortuna aiuta gli audaci, e io in questi lunghi tre mesi di quarantena non mi sono tirato indietro quando si trattava di studiare. Pochi minuti dopo, arriva l’altro messaggio che attendevo, la famosa lettera: “si comincia con la b, fai girare ai tuoi compagni”; io ero solo una lettera dopo. Ecco, ora avevo tutto quello che mi serviva. Sezione, cognome, giorno, orario. Potevo finalmente cerchiare in rosso sul calendario il personalissimo appuntamento con la mia storia. 22 giugno 2020. Mi aspettava una settimana di fuoco.