Stranger than paradise

“Stranger than paradise” è un film del 1984, opera prima del regista Jim Jarmusch, che solo quattro anni prima aveva diretto un mediometraggio autoprodotto, “Permanent vacation”. Il film, girato in bianco e nero, era nato per essere un cortometraggio di circa mezz’ora, per poi diventare un film per il cinema.
Il regita, in tre capitoli, ci illustra il personaggio di Eva, una ragazza ungherese che, in pieni anni di blocco sovietico, arriva negli Stati Uniti per trasferirsi dall’anziana zia a Cleveland. Eva però è costretta a fermarsi per una decina di giorni a New York, dal cugino Willie, che ormai si è abituato alla vita americana e ai ritmi della città da molti anni.
Il primo capitolo, “The new world”, vede come protagonista l’appartamento del cugino Willie, interpretato da John Lurie, più che i personaggi stessi. Eva, che non conosce la città, è inizialmente tenuta a forza dentro casa, un monolocale con due letti, un tavolo ed una piccola televisione; per questo la città di New York, almeno per il primo capitolo, non ci è mai presentata, se non per brevi istanti. Eva scopre una città rinchiusa nella quotidianità, nella noia e in un cibo confezionato, l’altra faccia della medaglia del sogno americano.
Il secondo capitolo, “One year later” vede Willie partire insieme all’amico Eddie per Cleveland. Infatti, dopo aver raccimolato qualche dollaro, decidono di andare a trovare Eva, che ormai non abita più a New York da tempo. Proprio come nel primo capitolo, veniamo sopraffatti dalla monotona vita negli Stati Uniti.
Sarà infine l’ultimo capitolo, “Paradise”, che vedrà i tre protagonisti decidere di punto in bianco di partire con gli ultimi soldi rimasti verso la Florida; un ultimo viaggio che, con un finale aperto (ma neanche troppo), decide di separare del tutto le vite dei tre personaggi.
Il regista, Jim Jarmusch, decide di mostrare a noi spettatori gli Stati Uniti sotto un occhio alienante, un paese quasi deserto, in cui sembra che le uniche persone che ci abitano siano i protagonisti stessi; non ci sono comparse, se non qualche comprimario (ovviamente per il basso budget).
Vediamo come tutto sia quasi surreale nel suo effettivo realismo: minuti interi dedicati all’unica voce della televisione, una musica che esiste quasi unicamente grazie a radio e dialoghi persi nel vuoto, senza un vero scopo; una comicità che effettivamente comicità non è.
Edoardo Merlini / Liceo Classico Galileo di Firenze