Il mio bastardo e classico sabato sera… – Racconto

Ho il fiatone, zoppico a fatica, respiro a mala pena per la corsa, non capisco dove sono, ho svoltato angoli a caso per confondere i miei avversari ma sono finito per confondere solo me stesso. Adesso mi trovo in una strada buia in mezzo a due case, per fortuna c’è un cassonetto, decido di nascondermi dietro ad esso anche se c’è un odore di merda insopportabile ma farei di tutto per salvarmi la vita e magari dare un’occhiata alla mia ferita sul fianco, aperta da una lama di coltello o da una bottiglia. Non ricordo neanche questo.

Appena tiro giù i pantaloni, un po’per il sangue ed un po’ per l’odore di rifiuti marci, mi viene voglia di vomitare ma resisto, mi inizia a girare la testa ma cerco di concentrarmi e di non perdere i sensi.

Mi stavano rincorrendo quei bastardi: erano in due, forse anche in tre, ricordo solo che stavo camminando dentro un parco giochi e che, dopo qualche minuto che ero li, dei ragazzi mi chiesero se avessi da accendere; io risposi che non avevo nulla con me, ma loro insistevano e dopo la quarta volta che mi facevano la stessa richiesta, dissi loro di levarsi dalle palle in modo lapidario e di chiedere a qualcun altro.

Fu allora che uno di loro, o forse tutti e due, mi si avvicinarono per picchiarmi. Io ovviamente mi difesi, ma uno di loro, mentre me ne stavo andando già mezzo rotto, mi colpì con non so che cosa per poi rincorrermi per tutta la strada che pochi minuti prima avevo percorso in senso contrario e con un’altra andatura.

Solo questo mi ricordo, poi vuoto, anche se non mi rammento cosa stavo andando a fare in quel maledetto parco, anzi non ricordo nemmeno perché sono uscito di casa, accidenti! Inutile lamentarsi… invece è meglio che trovi un modo per fare qualcosa prima di svenire per la perdita di sangue, ma non riesco neanche a muovermi e – diamine! – ancora non riesco a resistere e vomito in terra un’altra volta. Mi sa che stasera ho alzato il gomito un po’ troppo, ho anche un maledetto mal di testa, non riesco a concentrarmi senza sentire una dolorosa fitta alla testa, poi mi accorgo che sono anche ferito dietro, forse per qualcosa che è successo prima.

Provo a sistemarmi meglio ma, mentre lo faccio, sento dei passi diventare da solo un rumore di sottofondo un ritmo continuo ed incessante, come quando un re è chiuso dentro un castello e sente da fuori i rumori della folla che con un ariete cerca di sfondare la porta e realizza, proprio come sta accadendo a me, che presto quel tonfo ripetuto, se non sarà la sua morte, sarà la sua rovina.

Sento anche le voci, ma non capisco nulla perché sto solo pensando a salvarmi, sento il mio cuore battermi in petto, non ce la faccio e vomito ancora, poi le gambe non reggono più e mi accascio a terra aspettando inerme il mio destino…

[…]

 

“Eccone un altro… Direi che questo sabato è stato molto più tragico del solito… questo respira a fatica, portiamolo via!”

“Un senzatetto, infermiera?”

“Non penso, ma sicuramente un alcolizzato e – diamine! – anche un drogato! Roba sintetica, per di più…”

La porta della sala operatoria si apre e l’infermiera ed il suo assistente si affrettano a infilare una flebo nel braccio del paziente. L’uomo sulla barella è sporco di vomito sulla maglietta, presenta un taglio sulla gamba destra e una ferita sulla testa.

“Keta… sì, sembra proprio ketamina”

“Incredibile, è riuscito a resistere ad una botta così?!”

“Lo abbiamo preso per miracolo, però sì: Dio qualche volta guarda in basso… portiamolo in una stanza, forza. Sta’ qui finché non si sveglia e non capiamo chi sia e dove viva…”

“Sempre che ce lo voglia dire, o forse non si ricorda neanche quello…”

[…]

 

Mi sveglio male, con ancora il solito mal di testa che è, però,diminuito. Molto confortante come sviluppo…

Non sento nessun odore se non quello di detersivo alla lavanda che era stato usato per lavare le lenzuola sulle quali mi sono improvvisamente trovato; non capisco perché mi trovo lì, poi realizzo dove sono.

“Hey, il paziente si è svegliato! Potrebbe dire il suo nome, signore, anche se, a quando vedo dalla sua cartella clinica, lei è abbastanza di casa qui nel nostro ospedale…”

“Mi chiamo Jonathan e abito qui vicino”

Dopo aver detto questo mi metto le mani sul viso e vorrei prendermi a pugni da solo, questo è il mio bastardo e classico sabato sera…

 

Leonardo Fattori

Classe 2E – Liceo Classico Galileo di Firenze