An immigrant’s tale

Da quando siamo piccoli ascoltiamo storie che ci vengono raccontate per educarci e aiutarci a crescere e, non a caso, hanno una morale.

Quella che ora vi presento non è una favola, ma una persona a me molto cara a cui devo letteralmente la mia vita: mia madre.

Lei è un’immigrata dall’India e ho deciso di approfondire insieme a lei alcuni argomenti come l’istruzione in India, il passaggio da un paese all’altro, la sua famiglia, alcune difficoltà che ha incontrato come la lingua e anche qualche curiosità.

Il motivo principale per cui ho scelto di intervistarla è perché penso che uno dei metodi per rompere gli stereotipi e far in modo che le persone inizino definitivamente ad accettare il prossimo è ascoltare storie e conoscere persone che vivono e appartengono ad una realtà diversa alla nostra.

Mamma, chi sei e da dove vieni? Presentati.

Mi chiamo Nanditha vengo dall’India. Sono nata il 28 ottobre 1980 a Elamkulam in Kerala. È lì che ho studiato e dove sono cresciuta. La mia famiglia è composta da mio padre, mia madre e i miei due fratelli maggiori. Mio padre lavorava in un quotidiano, supervisionava la macchina di stampa dei giornali, mentre mia madre era una casalinga. Quando ero una bambina vivevamo in una piccola casa, ma poi ci siamo trasferiti.

Com’era essere l’unica figlia femmina della famiglia, avevi qualche restrizione?

No, era uguale. L’unico aspetto negativo è che non avevo una sorella a cui rubare i vestiti.

Che cosa volevi fare da piccola, che lavoro ti sarebbe piaciuto fare?

Come tutti i bambini da piccola volevo fare la maestra, però, quando si cresce, si cambia. Volevo fare la giornalista, mi piacciono molto le notizie.

Come era la scuola in India?

Era molto bella. Non sono sicura se era più difficile delle scuole di qui, ma era più severa. Dovevamo indossare un’uniforme e a me piaceva molto indossarla e andare a scuola.

Qual era la tua materia preferita?

L’Hindi.

Cosa hai studiato all’università?

Commercio, perché ti dava opportunità di trovare lavoro facilmente e lavorare nel marketing. Non avevo delle ambizioni particolari, ero dell’idea di fare qualsiasi lavoro che trovassi dopo gli studi.

La scuola indiana vi educa al rispetto per le altre culture e per il prossimo?

Sì, i nostri insegnati si occupavano anche di questo. Ma la teoria e la pratica sono due cose del tutto differenti. Il rispetto per le preferenze sessuali, però, è un concetto che quando ero giovane era ancora un tabù. Adesso però la situazione in India è del tutto cambiata e molto più aperta, ma ancora abbiamo una lunga strada da fare. Però, a causa di questa mancata educazione, molte persone della mia età ancora non riescono ad accettare i membri della comunità LGBTQ+. A mio avviso i genitori devono amare i propri figli così come sono.

Volevi lavorare in India oppure avevi in mente di lavorare altrove?

No, volevo lavorare in India ma diciamo che la mia sorte era un’altra.

Mamma parliamo del tuo matrimonio, tu ti sei sposata attraverso il matrimonio combinato, tu ti volevi sposare?

No, io assolutamente non pensavo al matrimonio. Mi sono sposata per il volere dei miei genitori. Nella nostra cultura il matrimonio combinato la vediamo come una cosa positiva. I nostri genitori ci combinano con persone appartenenti ad una buona famiglia e poi abbiamo la libertà di scegliere se vogliamo sposarle o meno .

Da quello che so i matrimoni induisti si combinano con il jadakam, ma che cos’è?

In Kerala, come qui, abbiamo i segni zodiacali, e con questi i sacerdoti induisti prevedono il tuo futuro. I risultati di queste previsioni vengono scritte in un libro, fra cui è anche detta l’età più propizia al matrimonio. Per me, ad esempio, c’era scritto 21 anni. Infatti, il mio matrimonio era prima degli esami della laurea, che ho fatto dopo appunto essermi sposata.

Quindi è una cosa abbastanza normale sposarsi duranti gli studi?

Sì, è una cosa abbastanza normale, infatti, nella mia classe avevo delle compagne già sposate, però era un numero ridotto.

Come l’hai presa il fatto che dopo il matrimonio saresti venuta in Italia?

All’inizio non avevo alcuna intenzione di lasciare l’India, ma poi naturalmente qualsiasi moglie vuole stare con il proprio marito e poi volevo comunque fare una nuova esperienza.

Cosa sapevi dell’Italia?

A parte che stava in Europa e le cose che avevo appreso a scuola, non molto. Purtroppo, non sapevo quasi niente del clima e quando sono venuta qui ero vestita inadeguatamente, era gennaio e tremavo come una foglia

Quindi questo era la prima volta che viaggiavi all’estero?

SÌ, era la prima volta che viaggiavo all’estero. La prima volta che presi un aereo invece era per andare a Mumbai.

E come ti sei adattata?

All’ inizio era difficile sia la lingua che adattarsi al cibo. Un anno dopo che sono arrivata ho avuto te, e mi ricordo che durate il parto era estremante difficile perché appunto non conoscevo la lingua e i dottori non parlavano l’inglese. L’unica cosa che sapevano dire era push, push (spingi). Ho iniziato ad apprezzare il cibo italiano però quando ero in ospedale. Prima della gravidanza mangiavo solo ed esclusivamente il cibo indiano. Gli indiani poi sono delle persone che si adattano molto facilmente. Quando ci traferiamo in un luogo la nostra mente è già preparata al cambiamento e ad adattarsi alle nuove situazioni.

Come e quando hai imparato l’italiano?

All’inizio ho imparato alcune parole base sul dizionario e poi sono andata a studiarlo in una scuola. Però ho dovuto smettere perché nel frattempo aspettavo tua sorella. Ricominciai ad andarci quando entrambe andavate all’asilo. Ho imparato anche guardando la televisione e soprattutto guardando i vostri cartoni.

Quando tu sei venuta qui avevi pensato a lavorare?

All’inizio non proprio, non conoscevo la lingua e poi dovevo occuparmi di te e di tua sorella. Poi non avevo problemi finanziari visto che tuo padre lavora. Adesso sì, visto che siete cresciute e potete badare a voi stesse autonomamente.

L’amicizia per un individuo è molto fondamentale perché tramite le interazioni con le persone che noi cresciamo. Quando tu sei venuta qui hai letteralmente lasciato tutto alle spalle e penso che sia stato molto difficile, no?

Vedi l’amicizia è fondamentale nella vita di una persona, però gli amici che facciamo a scuola sono temporanei e dopo un certo lasso di tempo tutti se ne andranno per le proprie strade.

Quando sono venuta qui ho dovuto infatti imparare a cavarmela da sola e ha non dipendere da nessuno.

Naturalmente però io e tuo padre ci siamo subito legati ad un’altra famiglia indiana. Quando avevamo qualche dubbio chiedevamo a loro.

Molte persone della nostra comunità vengono in Italia, non trovano lavoro. A parte la lingua qual è la causa per cui non lo trovano?

Oltre il fattore lingua, il problema è che il titolo di studio indiano qui non è valido. Quindi molto spesso si ritrovano a fare lavori domestici. La cosa brutta è che la maggior parte non sa di questa realtà e si trovano in estrema difficoltà.

Che consigli daresti alle persone che dall’India vengono in Italia?

La cosa che direi è che se voglio venire qui devono avere la mente aperta per fare qualsiasi lavoro. Se avessi l’opportunità di incontrare la me giovane, le direi di studiare da infermiera. Infatti, qui hai molte possibilità di lavoro se studi medicina.

Come stai vivendo l’esperienza covid?

Io per fortuna bene, ma purtroppo moltissime persone che per questioni di lavoro non sono più potute tornare dalle loro famiglie. Si devono perciò abituare a mantenere i rapporti a distanza. Fortunatamente io ormai ci sono già abituata, infatti chiamo i miei genitori ogni giorno. Quando sono venuta qui all’inizio era difficile: dovevamo andare alle cabine telefoniche che si trovavano a piazza Vittorio. Dopo fu introdotto un sistema simile alle ricariche del telefono. Avevamo una card in cui c’era un numero che digitavamo sul telefono. Infine, è arrivato il cellulare e successivamente internet che ha reso il tutto ancora più semplice.


Abirami Raj IV G